Ricerca, nanodispositivi per trattare epilessia e Parkinson

È l'obiettivo del progetto Ue IN-FET guidato da Sissa

FEB 10, 2020 -

Roma, 10 feb. (askanews) – Inedite tecnologie potrebbero essere utilizzate come impianti cerebrali in grado di modulare l’attività delle cellule nervose e trattare così malattie neurologiche come l’epilessia e il Parkinson. Gli avveniristici dispositivi sono al centro di un progetto da oltre 3 milioni euro finanziato dalla Commissione Europea e guidato da SISSA.

Colpendo più di 50 milioni di persone nel mondo, l’epilessia è una delle malattie neurologiche più comuni. Per combattere la patologia, i trattamenti farmacologici sono largamente utilizzati. Per alcuni pazienti, però, non possono essere di aiuto: i farmaci risultano infatti inefficaci in una percentuale che va dal 7 al 20% dei bambini colpiti. Negli adulti, la resistenza al farmaco raggiunge valori che vanno dal 30 al 40%. Terapie alternative presentano, inoltre, importanti controindicazioni. Il progetto IN-FET (“Ion Neuromodulation for Epilepsy Treatment”) – spiega SISSA – ha l’obiettivo di sviluppare nanotecnologie inedite da utilizzare per impianti cerebrali sofisticati in grado di regolare finemente l’attività elettrica del cervello agendo sui meccanismi di base del sistema nervoso.

Sostenuto da un contributo di più di 3 milioni di euro da parte della Commissione Europea, l’innovativo approccio potrebbe rappresentare un metodo rivoluzionario per affrontare patologie come l’epilessia e il Parkinson. Lanciato all’inizio di quest’anno, IN-FET si concentrerà sui messaggeri protagonisti della comunicazione tra le cellule nervose: gli ioni, come il magnesio, il potassio e il calcio. In particolare, le nuove macchine molecolari potrebbero misurare e manipolare l’attività degli ioni e la loro concentrazione. In questo modo sarebbe possibile modificare l’attività cellulare, attivando o spegnendo le cellule a seconda delle esigenze. Nell’epilessia, per esempio, si verifica una ipereccitabilità di alcune cellule cerebrali, un fenomeno che dipende proprio dal flusso di ioni. L’attività di queste cellule potrebbe essere modulata grazie a questi nuovi sistemi: le macchine potrebbero catturare alcuni ioni in modo che non possano più eccitare le cellule. Nel Parkinson si potrebbe operare in modo simile, agendo sui neuroni responsabili dei sintomi della malattia.

L’ambiziosa iniziativa è finanziata dal programma europeo “Future Emerging Technologies (FET)”, destinata a sostenere ricerche di assoluta frontiera ma dal grande impatto sulla scienza e la società. Coordinata dal professor Michele Giugliano, direttore del Neuronal Dynamics Lab alla SISSA di Trieste, il progetto vedrà il coinvolgimento di IBM research, Multi Channel Systems, le università di Ginevra e Sheffield e il Consorzio interUniversitario per la Nanoelettronica con le Università di Modena e Reggio Emilia e l’Università di Udine.

“Le terapie sperimentali di frontiera oggi utilizzate per ristabilire o riparare le funzioni del cervello in caso di patologie neuronali consistono nel modulare o silenziare l’iperattività dei circuiti nervosi” spiega il professor Michele Giugliano. “Tutto ciò può essere fatto con farmaci, con la manipolazione genetica o con degli impulsi elettrici, magnetici o ottici mirati. Il problema sono però gli effetti indesiderati, anche seri, dovuti al metodo che potremmo definire ‘innaturale’ utilizzato per regolare l’attività delle cellule. La nostra idea è di usare ciò che il cervello impiega normalmente per lavorare: gli ioni”. Le cellule nervose, infatti, lavorano e comunicano per mezzo di flussi di ioni: è così che gli impulsi nervosi sono emessi e scambiati nel sistema nervoso. Gli ioni sono pertanto le componenti più elementari alla base dell’attività elettrica del cervello.

“Il progetto IN-FET – spiega Giugliano – fa proprio tale principio di base per sviluppare dei dispositivi impiantabili in grado di modificare la concentrazione degli ioni più comuni su scala microscopica, che è quella delle cellule. Questi dispositivi saranno in grado di misurare l’attività elettrica dei neuroni e agire attivamente per correggerla in caso di necessità”. Un lavoro questo, reso possibile dalle conoscenze acquisite e dai recenti progressi in un ambito totalmente diverso: quello delle batterie elettroniche di nuova generazione che utilizzano gli efficientissimi “polimeri elettroattivati”. “In questo caso, questi polimeri sarebbero usati come ‘macchine molecolari’ per intrappolare o rilasciare specifici ioni nelle aree che circondano i neuroni” racconta il professore. “Così facendo potremmo modulare l’attività delle cellule nervose utilizzando il loro stesso linguaggio, quello che usano normalmente per comunicare. In questo modo si potrebbero trattare malattie neurologiche attraverso un sistema ‘naturale’ e, per questo, più efficiente”.

Rispetto agli approcci oggi utilizzati per studiare questo tipo di patologie, spiegano i ricercatori, si tratta di un cambio di prospettiva. Testando queste macchine molecolari su cellule nervose, in vitro, il progetto IN-FET vuole capire se questa prospettiva è corretta. Conclude il professor Giugliano: “Si tratta di un percorso lungo tre anni e mezzo, forte di un investimento economico molto importante da parte della Commissione Europea, estremamente sfidante e scientificamente eccitante ed avventuroso. Stiamo cercando di aprire una strada davvero nuova verso un mondo tutto da scoprire”.