Energia da fusione,ITER: a industria italiana contratti per 1,2 mld

Studio ENEA-LIUC sulle ricadute del progetto internazionale

OTT 14, 2019 -

Roma, 14 ott. (askanews) – Con oltre 1,2 miliardi di contratti acquisiti per la realizzazione della prima centrale a fusione al mondo, l’industria italiana dell’alta tecnologia raggiunge un nuovo traguardo, rafforzando la sua leadership nell’ambito del Progetto internazionale ITER, International Thermonuclear Experimental Reactor in via di realizzazione a Cadarache, in Francia. Si tratta di oltre il 50% del valore dei bandi per componenti ad alto contenuto tecnologico di Fusion for Energy (F4E) – l’Agenzia Ue che gestisce il contributo europeo alla costruzione di ITER – come evidenzia la Rivista ENEA Energia Ambiente e Innovazione (http://eai.enea.it/) che nell’ultimo numero appena pubblicato on line ha interpellato alcuni dei maggiori protagonisti europei della fusione per fare il punto su questa grande sfida scientifica e tecnologica per produrre energia pulita, sostenibile e senza scorie.

“Le imprese italiane sono riuscite a vincere contratti di forniture e servizi per un valore totale secondo solo a quello della Francia se si considerano anche le opere civili e le infrastrutture”, afferma Johannes Schwemmer, direttore di F4E. Un risultato di rilievo, tenuto conto che le commesse vengono assegnate con gare d’appalto su base concorrenziale, selezionando l’offerta migliore secondo i criteri tecnico-economici, le regole e i principi della contrattazione pubblica comunitaria. Come esempi di eccellenza Schwemmer cita i casi della De Pretto Industrie (DPI), Ettore Zanon (EZ), SIMIC, OCEM Power Electronics, Angelantoni Test Technologies (ATT), ASG Superconductors, Walter Tosto e Ansaldo Nucleare che a capo di un consorzio tutto italiano ha conquistato un’importante commessa per il montaggio di ITER, l’ultima in ordine di tempo, che ha consentito di superare la ‘soglia’ degli 1,2 miliardi.

A giudizio di Schwemmer, – si legge sull’ultimo numero del settimanale ENEAinform@, – la forte competitività delle aziende italiane nel campo della fusione nasce dalla “capacità di innovare sviluppata negli anni” ma anche sulla presenza di istituzioni di ricerca nazionali “di grande qualità” e comporta “ricadute molto positive su crescita e occupazione”. Di “competenze industriali molto valide” parlano anche altri protagonisti del settore come Ambrogio Fasoli, presidente del Consorzio europeo EUROfusion e Sergio Orlandi, direttore del Dipartimento Ingegneria e Impianti del Progetto ITER. “Non lo dico per orgoglio nazionale, ma ITER ha un cuore tricolore, perché molta della sofisticata tecnologia necessaria a realizzare questa sfida scientifica e tecnologica da oltre 20 miliardi di euro è fornita da ingegneri e partner industriali italiani che hanno fatto dell’eccellenza la loro bandiera. È l’espressione migliore di un’Italia dinamica, che funziona ed è capace di implementare modelli efficaci ed efficienti”. Orlandi annuncia inoltre che ITER – cui partecipano Cina, Giappone, India, Corea del Sud, Russia, USA e UE, Svizzera compresa – è stato completato per oltre il 60%: l’anno prossimo inizierà l’assemblaggio e la previsione è di produrre il primo plasma nel 2025.

L’ultimo numero della rivista Energia Ambiente e Innovazione – informa ancora l’Enea – ha dedicato un focus anche al primo studio che ha valutato ITER in termini sia di ricadute economiche, sociali e occupazionali che di strategie, vision e processi innovativi. Lo hanno realizzato Paola Batistoni, Gloria Puliga e Raffaella Manzini, ricercatrici di ENEA e LIUC (Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo), da cui emerge come i benefici ottenuti dalle aziende italiane vadano ben oltre la percezione di breve di periodo. In un campione di 26 imprese vincitrici di contratti ITER dal 2007 in poi, il 93% ha dichiarato di aver sviluppato competenze tecniche innovative, nuovi processi (73%) e nuovi prodotti o brevetti (14%). Il 67% ha adottato nuovi standard organizzativi e produttivi e quasi tutte hanno investito sul territorio, a livello locale o regionale, ad esempio esternalizzando alcuni servizi o la realizzazione di componenti. E tutte hanno assunto nuovo personale altamente qualificato, prevalentemente ingegneri.

Circa il 90% delle imprese coinvolte nello studio ha sostenuto che lavorare per ITER ha notevolmente migliorato la loro reputazione e il 73% ha affermato di aver acquisito nuovi clienti. Il 47% delle aziende coinvolte sta entrando (o cercando di entrare) in nuovi settori come aerospazio, biomedicina, superconduttività e solo un numero ristretto è riuscita a entrare in nuovi mercati. La sfida appare più difficile per le PMI che vogliono utilizzare le competenze acquisite in nuovi settori: infatti, se le grandi aziende affermano che ITER è stata la porta di accesso a nuove linee di business, le imprese di dimensioni più piccole spesso non sono in grado di farlo da sole.

A livello economico e finanziario, la partecipazione a ITER risulta complessivamente positiva con particolare riferimento alla pianificazione strategica: tutti i manager e i dirigenti intervistati nell’ambito dello studio ENEA-LIUC hanno affermato di aver acquisito una maggiore consapevolezza sulle reali competenze e capacità dell’azienda, modificando in positivo il modo di pensare e le prospettive di sviluppo future. Soprattutto per le PMI, l’aggiudicazione di contratti ITER si è tradotta in una nuova vision aziendale e in un’accresciuta consapevolezza delle proprie capacità di competere anche con aziende più grandi. Sono inoltre cresciuti gli investimenti in attrezzature, così come le collaborazioni con altri partner, soprattutto con i fornitori anche per progetti diversi da ITER; sono poi nate alleanze con imprese concorrenti e università o istituti di istruzione superiore.

Sul fronte finanziario, la partecipazione a ITER sembra aver avuto ricadute positive considerato l’andamento favorevole degli indicatori utilizzati e, in particolare, del rapporto EBITDA/vendite (laddove EBIT sta per utili prima degli interessi, delle imposte, del deprezzamento e degli ammortamenti): l’analisi mostra come il coinvolgimento nel progetto consenta di ottenere un tasso di variazione del rapporto EBITDA/vendite di +3,86 (con una significatività di 0,042). Un risultato che diventa ancora più importante se paragonato a quelli delle concorrenti: nel 40% dei casi, infatti, le aziende analizzate mostrano prestazioni migliori rispetto alla media di settore. Anche il ROA (return on assets: utile corrente ante oneri finanziari diviso totale dell’attivo) mostra un trend positivo soprattutto per le imprese di medie dimensioni, ma solo dopo qualche anno dall’avvio della collaborazione.