Perché Francesco ha convocato un Sinodo sull’Amazzonia

Il Papa della Laudato si' si ricollega al "cristianesimo sociale"

OTT 4, 2019 -

Città del Vaticano, 4 ott. (askanews) – Annunciata ormai da tempo, avviata dal Papa, simbolicamente, nel corso della sua visita a Puerto Maldonado, in Perù, il 18 gennaio del 2018, alle porte della foresta, dedicata dallo stesso Francesco, oggi quattro ottobre giorno di San Francesco, al “poverello” di Assisi, attorno all’assemblea sinodale sulla regione panamazzonica che Papa Francesco ha convocato da domenica prossima, 6 ottobre, al 27 ottobre prossimo in Vaticano, aleggia ancora una domanda: perché un Sinodo sull’Amazzonia? La Chiesa – domandano i più scettici – non dovrebbe piuttosto occuparsi di Gesù Cristo e della Trinità, di liturgia o, magari, di bioetica?

Le assemblee sinodali, in realtà, possono essere ordinarie (relative a questioni ordinarie della Chiesa universale), straordinarie (relative a problemi straordinari) o speciali (relative ad una specifica area geografica): quella sull’Amazzonia non è la prima assemblea speciale, l’ultima, sotto Benedetto XVI, fu sul Medio Oriente (2010), quella precedente sull’Africa (2009), e, regnante Giovanni Paolo II, si sono celebrati sinodi sull’Europa, sull’America, sull’Oceania, sull’Asia.

L’Amazzonia, certo, è una regione nelle corde di Papa Francesco. Erede dei gesuiti che qui giunsero da missionari secoli fa, spesso scontrandosi con chi, a Roma o negli altri ordini religiosi, intendeva la missione come evangelizzazione forzata dei selvaggi, il Papa argentino fin dalla sua prima enciclica, Laudato si’, ha posto l’accento sulla preoccupazione che la Chiesa nutre nei confronti della “casa comune” e dei modelli di sviluppo che la mettono a repentaglio.

“Nella Laudato si'”, hanno ricordato sulla Civiltà cattolica il cardinale designato Michael Czerny, gesuita, e il vicario apostolico mons. David Martinez de Aguirre Guinea, domenicano, “papa Francesco espone la tesi che il mondo sta affrontando una crisi per la sopravvivenza: ‘Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri’. Il grido della terra e il grido dei poveri costituiscono un unico grido, e la Chiesa deve ascoltarlo e gridare con loro”.

Il fatto che Francesco sia il primo Papa latino-americano, poi, lo rende sicuramente sensibile al dramma oggettivo dell’Amazzonia, devastata la scorsa estate dagli incendi “permessi” dall’amministrazione del presidente brasiliano Jair Bolsonaro ma sfruttata da secoli da potenze colonialiste. Tanto più che l’allora arcivescovo di Buenos Aires fu il regista dell’incotro che l’episcopato latino-americano (Celam) tenne ad Aparecida nel 2007, esplicitando tra le altre questioni il dramma amazzonico.

Ma più fondamentalmente l’attenzione sull’ecologia, così come l’insistenza sull’accoglienza dei migranti o le critiche agli eccessi del capitalismo, del resto, sono cifra distintiva del pontificato di Jorge Mario Bergoglio, e rispondono a esigenze plurime: archiviare un’era nella quale, in particolare sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il magistero si è concentrato su questioni che incrociano la sessualità umana (la procreazione medicalmente assistita, matrimoni gay) o tematiche bioetiche (l’aborto, l’eutanasia), non per rinnegare quell’insegnamento ma per allargare il campo d’azione della Chiesa; ricollegarsi, di conseguenza, allo spirito del Concilio vaticano II, al “cristianesimo sociale” e a quelle correnti che, in tutta la storia della Chiesa, hanno avuto la cura dei poveri al centro della propria azione caritativa; e trovare punti di incontro con cristiani di altre confessioni, non credenti o diversamente credenti – quelli che Giovanni XXIII avrebbe definito “uomini di buona volontà” – per promuovere insieme un “nuovo umanesimo” che supera gli steccati confessionali e rafforza il contrasto ad una secolarizzazione ormai ambientale.

“L’ecologia integrale”, scrivono padre Czerny e padre Martinez, “rappresenta una nuova sintesi nella dottrina sociale della Chiesa. Per comprendere questo punto è utile pensare a Rerum Novarum (1891), l’enciclica di Leone XIII che viene considerata il punto d’inizio del pensiero sociale cattolico moderno”. E sull’Osservatore Romano il giornalista Lucio Brunelli ha posto una provocazione: “Ma perché un papa doveva occuparsi di salari e orari di lavoro? Non avrebbe dovuto Leone XIII parlarci solo di cose altamente spirituali lasciando la questione operaia – de conditione opificum – alla sola competenza di imprenditori, economisti e sindacalisti? Se la Chiesa non avesse parlato oggi staremmo qui a puntare il dito sui silenzi della Chiesa di fronte a quell’inedito e sconvolgente fenomeno sociale che invece papa Pecci descrisse con parole coraggiose e veritiere: ‘un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine dei proletari un giogo poco meno che servile'”.