Amazzonia, lo sfruttamento dell’umanità al cuore del Sinodo

In libreria il reportage di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca

OTT 4, 2019 -

Città del Vaticano, 4 ott. (askanews) – C’è una testimonianza raccolta nel libro “Frontiera amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita” delle giornaliste Lucia Capuzzi e Stefania Falasca (Emi), che fa esplodere le contraddizioni accumulate di pagina in pagina, le voci di dolore che si sono susseguite, i molti volti segnati dallo sfruttamento. E’ l’interrogativo posto da Dawi Kopenawa, sciamano del popolo Yanomami, sul concetto di progresso: “Non ne capisco il significato. Che cosa significa progresso? L’auto? Il conto in banca? E’ tutto qua ciò che intendete con progresso? Quando penso al progresso, immagino uomini e donne che vivono in una foresta sana e pulita, si bagnano in fiumi dove non si annidano sostanze tossiche, sono liberi di parlare la loro lingua, esprimere la loro cultura, sognare i loro sogni senza essere per questo considerati selvaggi o inferiori. Immagino persone pronte a scambiare le proprie conoscenze, ad abbeverarsi del sapere altrui senza perdere il proprio. Immagino esseri umani che scoprono e si scoprono. Se questo è ciò che intendete con progresso, e spero di sì perché il resto è un miraggio, lo vogliamo, lo vogliamo subito”.

Il volume, che viene presentato lunedì pomeriggio nella Sala Marconi del Vaticano, esce in coincidenza con il Sinodo per l’Amazzonia convocato dal Papa a Roma (6-27 ottobre), ed offre al lettore esperto come a chi dell’Amazzonia ignora tutto un racconto preciso e concreto di questo mondo così lontano e così vicino. “L’Amazzonia non è un mondo altro, lontano ed esotico. E’ lo specchio del nostro. Ed è una questione di vita o di morte. Nostra, loro, di tutti”.

Dal Sinodo sull’Amazzonia il libro prende le mosse, o più precisamente dalla visita che il Papa fece a Puerto Maldonado a gennaio del 2018, alle porte della foresta peruviana, dando simbolicamente avvio all’assemblea che si apre formalmente domenica a San Pietro. Mentre va in scena il bell’incontro del Pontefice latino-americano con le popolazioni indigene, mentre Jorge Mario Bergoglio denuncia in mondovisione gli abusi che in Amazzonia vengono compiuti contro la terra, le popolazioni indigene, e le donne della regione, Falasca e Capuzzi, giornaliste di Avvenire, cominciano un viaggio nei drammi di una umanità dannata dalla brama altrui. La prima protagonista è una giovane prostituta che, lontano dai riflettori dei grandi network internazionali, viene violata in uno dei tanti “postri-bar” che allietano la vita squallida dei cercatori d’oro.

Il libro avanza piano come il viaggio lungo il corso del Rio delle Amazzoni che le due giornaliste hanno intrapreso. Un’esplorazione in ascolto della foresta e delle sue popolazioni, lo stesso ascolto che Papa Francesco vuole al centro del Sinodo. Un racconto che si coagula attorno a nove colori di altrettante materie prime: giallo oro a Puerto Maldonado (Perù), rosso rame a Tundayme-El Carmelo (Ecuador), nero petrolio a Lago Agrio (Ecuador), verde coca a La Dorada (Colombia), bruno mogano al confine tra Perù, Colombia e Brasile, ocra fiume a Atalaia do Norte (Brasile), biondo spighe a Boa Vista (Brasile), grigio fumo a Amazonas (Brasile) e verde acqua a Andirà-Marau (Brasile). Per ogni tappa del viaggio, storie di sfruttamento ambientale e umano, ma anche storie di resistenza e riscatto, lotta e dignità. Non è la decrescita felice, non c’è traccia di ideologia, ma l’evidenza di un degrado che nasce dalla mancanza di fraternità, da crimini compiuti da esseri umani contro altri esseri umani per accaparrarsi la ricchezza della “madre terra”, di un “progresso”, come direbbe lo sciamano Dawi Kopenawa, senza sviluppo. Una realtà che riguarda il mondo intero, ma che lungo la “frontiera Amazzonia” si rivela pienamente.

Lungo il reportage di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca spiccano volti e voci di donne. “L’Amazzonia è una donna”, spiegano le autrici. “Una donna stuprata. Ha negli occhi il colore della notte e i capelli lisci come gli strapiombi delle Ande. A Madre de Dios era scesa guardandoci senza dire una parola. Un urlo di silenzio. Volevamo incontrarla, poterla guardare negli occhi. E siamo andate. E siamo entrate in quegli occhi. Queste pagine ne sono la voce. Perché l’Amazzonia è vicina. È fuori e dentro la vita di tutti”.