## Cucchi, pm: 18 anni ai carabinieri che pestarono Stefano

Sentenza 14 novembre. Ilaria: processo ci riavvicina allo Stato

OTT 3, 2019 -

Roma, 3 ott. (askanews) – Non “pene esemplari, ma giuste”. Finisce senza i toni della tragedia la due giorni di requisitoria del processo per la morte di Stefano Cucchi, in cui sono imputati 5 carabinieri. Nessun tono gridato, fotografia ad effetto, termine shock. “Perché questa storia è molto più semplice di quello che sembra”, ha spiegato il pm Giovanni Musarò. “Sgombrate il campo da tutte le perizie ed i paroloni – ha continuato – restano comunque delle condotte che abbiamo riportato nel capo d’imputazione”.

E così senza rullo di tamburi e luci della ribalta il magistrato ha sollecitato 18 anni di carcere per Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri che avrebbero picchiato Stefano. E’ il dato che impone riflessione ai difensori e non permette svicolamenti di sorta. Così come la pena sollecitata di 8 anni per il maresciallo Roberto Mandolini, il personaggio più volte evocato dal rappresentante della pubblica accusa perché il sottufficiale è chiamato in causa per la redazione delle annotazioni di servizio che coprono i responsabili delle botte e mettono in cattiva luce Cucchi.

“Stefano non era un tossicodipendente – ha quasi gridato il pm – ci sono prove documentali e testimonianze sul punto. Si allenava da pugile e faceva attenzione all’alimentazione per stare nel peso della sua categoria di combattimento. Il violento pestaggio di cui è stato vittima, durante le procedure di fotosegnalamento, hanno portato la sua salute a decadere. Non ci sono misteri”. Le falsità – ha continuato – sono state artefatte in una stazione dei carabinieri, ed è di una “gravità inaudita”. Per Vincenzo Nicolardi è stata chiesta la prescrizione. L’unico del lotto di militari dell’Arma che appare con una luce meno fosca è Francesco Tedesco per cui comunque si vuole una pena a 3 anni e sei mesi.

Tedesco, che era presente al momento del pestaggio – ha spiegato nell’altra udienza il pm – aiuta Cucchi e blocca i suoi due colleghi. Il quadro che viene dipinto da Musarò è a tinte fosche, senza speranza. Anche se poco prima lo stesso sostituto procuratore aveva spiegato che la messa in stato d’accusa degli imputati che “nel 2009, come altri carabinieri” oggi imputati per i depistaggi, “violarono il giuramento di fedeltà alle leggi e alla Costituzione, tradendo innanzitutto l’Istituzione di cui facevano e fanno parte”. Musarò ha inoltre elogiato la “leale collaborazione offerta nel 2018 e nel 2019 proprio dall’Arma dei Carabinieri in particolare dal Comando Provinciale di Roma, dal Reparto Operativo e dal Nucleo Investigativo”.

In ogni caso “la scelta coraggiosa di Tedesco è stato certamente un passo importante per la sua difesa ma anche un contributo generoso per la credibilità dell’Arma”. Lo hanno detto gli avvocati Eugenio Pini e Francesco Petrelli, legali di Tedesco. “La richiesta assolutoria avanzata dal pm per l’omicidio preterintenzionale è la naturale evoluzione di un lungo dibattimento che ha consegnato un quadro probatorio indiscutibilmente in linea con la richiesta”.

Appena il pm Musarò finisce di parlare, telecamere e cronisti si gettano alla ricerca di Ilaria Cucchi. In una dichiarazione che riprende quanto già affermato in quest’aula bunker spiega: “Questo processo ci riavvicina allo Stato, riavvicina i cittadini e lo Stato. Non avrei mai creduto di trovarmi in un’aula di giustizia e respirare un’aria così diversa – ha detto ancora Ilaria – Sembra qualcosa di così tanto scontato, eppure non è così. Se ci fossero magistrati come il dottor Musarò non ci sarebbe bisogno di cosiddetti eroi o della sorella della vittima che sacrifica dieci anni della sua vita per portare avanti sulle sue spalle quella che è diventata la battaglia della vita”.

“Dopo dieci anni di menzogne e depistaggi in quest’aula è entrata la verità raccontata dalla viva voce di chi era presente quel giorno. Sentivo il carabiniere Tedesco descrivere come è stato ucciso mio fratello e il mio sguardo cercava quello dei miei genitori che ascoltavano raccontare come è stato ucciso il loro figlio. E’ stato devastante, ma a questo punto quanto accaduto a Stefano non si potrà mai più negare”, spiega Ilaria nel murale dell’artista Jorit riprodotto nella copertina del libro ‘Il Coraggio e L’Amore’. Forse non serve altro per spiegare.