Cei: no strumentalizzazioni su suicidio, obiezione di coscienza

Il consiglio permanente sulla decisione della Consulta

SET 26, 2019 -

Roma, 26 set. (askanews) – Dopo aver espresso “sconcerto” a caldo in un comunicato diramato ieri sera, la Conferenza episcopale italiana torna ad esprimere preoccupazione per la decisione della Corte costituzionale sul caso del dj Fabo: denuncia con l’unione del consiglio permanente il rischio di strumentalizzazioni ideologiche sul tema del suicidio assistito e, ribadendo il rifiuto all’accanimento ferapeutico proprio dell’insegnamsnto della Chiesa, fa appello alla obiezione di coscienza per i medici e gli operatori sanitari cattolici.

“‘Si può e si deve respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia. A partire dalle parole di Papa Francesco – afferma la Cei nel comunicato conclusivo della riunione che si è svolta da lunedì a ieri – si è sviluppata la riflessione dei membri del Consiglio Permanente rispetto al tentativo di introdurre nell’ordinamento italiano la liceità di pratiche eutanasiche. I Vescovi hanno unito la loro voce a quella di tante associazioni laicali nell’esprimere la preoccupazione a fronte di scelte destinate a provocare profonde conseguenze sul piano culturale e sociale”.

“Consapevoli di quanto il tema si presti a strumentalizzazioni ideologiche, si sono messi in ascolto delle paure che lacerano le persone davanti alla realtà di una malattia grave e della sofferenza. Hanno riaffermato il rifiuto dell’accanimento terapeutico, riconoscendo che l’intervento medico non può prescindere da una valutazione delle ragionevoli speranze di guarigione e della giusta proporzionalità delle cure. Alla Chiesa sta a cuore la dignità della persona, per cui i Pastori non si sono soffermati soltanto sulla negazione del diritto al suicidio, ma hanno rilanciato l’impegno a continuare e a rafforzare l’attenzione e la presenza nei confronti dei malati terminali e dei loro familiari. Tale prossimità, mentre contrasta la solitudine e l’abbandono, promuove una sensibilizzazione sul valore della vita come dono e responsabilità; cura l’educazione e la formazione di quanti operano in strutture sanitarie di ispirazione cristiana; rivendica la possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza, rispetto a chi chiedesse di essere aiutato a morire; sostiene il senso della professione medica, alla quale è affidato il compito di servire la vita”.