Sicilia, 20 anni fa il primo trapianto di fegato all’Ismett

L'evento ricordato in una cerimonia a Palermo

LUG 11, 2019 -

Palermo, 11 lug. (askanews) – Sono circa 2.200, dei quali 245 pediatrici, i trapianti eseguiti dall’Ismett (Istituto Mediterraneo Trapianti e Terapie ad alta specializzazione) di Palermo negli ultimi 20 anni. Di questi, ben 1.227 hanno riguardato il fegato. L’8 per cento dei pazienti curati nel 2018, è giunto da fuori regione o da altri Paesi. I dati sono emersi stamattina nel corso della celebrazione dei 20 anni della fondazione dell’Istituto a Palermo che prevede una due giorni dal tema “Immaginando il futuro del trapianto di fegato”.

Presenti, il ceo di Ismett Angelo Luca, il sindaco Leoluca Orlando, l’assessore regionale alla Sanità Ruggero Razza, l’arcivescovo Corrado Lorefice; con gli interventi di Camillo Ricordi, presidente Ismett, di Alessandro Padova, presidente Ri.Med., di Bruno Gridelli, managing director Umpc Italy, di Jeffrey Romoff, presidente Upmc, del presidente della Regione Nello Musumeci, di Lewis Eiserberg, ambasciatore Usa in Italia, e del ministro per la Salute Giulia Grillo. 

In una calda giornata di luglio di 20 anni fa, veniva portato a termine nell’Istituto Mediterraneo Trapianti (Ismett) il primo trapianto di fegato della Sicilia, un evento che ha cambiato il volto della sanità siciliana, dando una nuova speranza ai pazienti affetti da insufficienze terminali d’organo. In Sicilia e in tutto il Sud Italia – fino alla nascita dell’Ismett – non esisteva, infatti, nemmeno un istituto attivo nel settore del trapianto di fegato, fatto che imponeva a medici e pazienti una scelta tra la morte certa o il tentativo di un “viaggio della speranza” fuori dalla propria regione o addirittura all’estero.

La Regione Siciliana, fino al 1999, è stata, quindi, costretta a sostenere costi per centinaia di miliardi di vecchie lire per trasferire i pazienti dell’Isola che avevano bisogno di un trapianto e di terapie di alta specializzazione in altre strutture in Italia e all’estero. A ciò si aggiungevano gravi i disagi di pazienti in condizioni terminali e delle loro famiglie che spesso si trovavano in paesi dei quali non conoscevano neppure la lingua. La nascita dell’Istituto ha posto un freno proprio a quei “viaggi della speranza”, invertendo la rotta e garantendo cure di alta specializzazione ai pazienti siciliani nella loro regione.