Pacchi bomba a Torino, arresti grazie anche alla Penitenziaria

Monitorato il comportamento dell'ideologo della FAI

MAG 21, 2019 -

Roma, 21 mag. (askanews) – C’è anche il contributo della Polizia Penitenziaria nell’inchiesta che ha portato oggi all’arresto di tre anarco-insurrezionalisti, accusati di essere gli autori dei plichi esplosivi indirizzati a due magistrati della Procura di Torino e al capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nel giugno del 2017.

Lo sottolinea il Ministero della Giustizia in una nota, spiegando che fin dal suo ingresso in carcere nel 2012, infatti, gli uomini del Nucleo Investigativo Centrale hanno monitorato il comportamento dell’ideologo della Federazione Anarchica Informale (FAI) Alfredo Cospito, condividendo costantemente le risultanze di tale monitoraggio con il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo. La stessa attenta analisi è avvenuta per Maurizio Alfieri, monitorato dal NIC nel periodo della sua detenzione, le cui “vicissitudini carcerarie” sono state imputate all’Amministrazione Penitenziaria dai suddetti anarchici nella loro campagna esplosiva contro i “simboli della repressione carceraria”.

Campagna esplosiva che passa anche per la missiva indirizzata il 12 giugno 2017 all’allora Capo del DAP Santi Consolo. Il suo aspetto esteriore destò subito qualche sospetto e consigliò una accurata disamina. Uomini del NIC della Polizia Penitenziaria, subito intervenuti sul posto, rilevavano che il plico presentava caratteristiche identiche a quelli esplosivi che, il 7 giugno, solo qualche giorno prima, erano stati inviati a due sostituti procuratori della Repubblica di Torino che si occupavano di terrorismo ed eversione. Il personale del NIC insieme ai ROS di Roma, tra cui il Nucleo Artificieri e Antisabotaggio, dopo aver delimitato l’area interessata, provvedevano quindi a verificarne il contenuto, tramite ispezione radiogena che dava esito positivo: la busta conteneva polvere da sparo, una pila da 9 volts e un accenditore costituito dal bulbo di una lampadina e da cavi elettrici. Inoltre, per tentare di eludere i controlli di rito, riportava, come mittente, il nome di un direttore penitenziario.

Le successive attività svolte dal ROS, che da allora ha messo insieme le tante informazioni acquisite nel corso delle indagini, hanno quindi portato agli arresti odierni.