Scuola: Perché dovrebbe cambiare?

FEB 25, 2019 -

Roma, 25 feb. (askanews) – (di William Pisu, 24 anni)

Le scuole italiane negli ultimi anni sono cambiate, così come sono cambiate le generazioni di insegnati e studenti, ma oggi le differenze fra le vecchie generazioni di insegnati e le nuove generazioni di studenti sono spesso molto più ampie rispetto al passato. Molti insegnati continuano ad insegnare così come i loro insegnati hanno insegnato loro (utilizzando come modello di scuola quello Gentile), mantenendo spesso criteri di apprendimento che si basano esclusivamente sulla memoria (mnemonicamente) piuttosto che sulle competenze. Alcuni insegnanti, dimenticano che si trovano davanti a nuove scoperte dal punto di vista della didattica e degli studenti, un esempio ne è la legge 170 dell’8 ottobre 2010, purtroppo a volte non rispettata, dove finalmente si è cercato di tutelare gli studenti DSA, ovvero alunni che possono essere dislessici, disgrafici, disortografici, discalculici, ecc. Spesso ci si ferma ad una “digitalizzazione” della didattica ma senza cambiare metodo, ovvero tenendo la classica “lezione frontale”, riducendo la “formazione” degli insegnanti ad un solo aggiornamento tecnico/pratico sul funzionamento di determinati nuovi strumenti tecnologici, ma senza capire come utilizzarli per una didattica più inclusiva, più adatta alla realtà che ci circonda, che permetta l’acquisizione di competenze realmente utili e non solo di conoscenze, dove lo studente ascolta e ripete a pappardella ciò che dice l’insegnate o legge sul libro. La scuola dovrebbe orientare gli studenti, aiutandoli a trovare e selezionare le conoscenze da acquisire, a seconda delle caratteristiche, propensioni e tendenze di ogni individuo e della classe.

Negli ultimi anni il mondo è cambiato, ci troviamo immersi in stimoli e sollecitazioni alla scoperta e conoscenza, ma spesso molte persone non sono ancora pronte a questo ed utilizzano male questi strumenti, ci troviamo ancora una volta in un Italia che va a due velocità alcune scuole iniziano ad innovarsi altre continuano ad avere una didattica frontale nonostante l’utilizzo di nuove tecnologie, bisogna capire che non basta usare di più la tecnologia per fare una didattica migliore.

“Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia.” (Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli). Ogni studente ha caratteristiche diverse, tempi di apprendimento diversi, come si può valutare se uno studente merita più di un altro se si utilizzano criteri di valutazione “de facto” soggettivi?

Ad alcuni studenti basta seguire la lezione per riuscire a raggiungere un buon risultato, mentre ad altri non basta e hanno bisogno di studiare per molto più tempo, come possiamo dire oggettivamente chi merita di più?

Alcuni strumenti permettono di mettere alla pari studenti con caratteristiche diverse durante un compito in classe o un esame, come per esempio dare il permesso ad un discalculico di utilizzare la calcolatrice durante un compito in classe di matematica o se parliamo della scuola primaria anche solo la tavola pitagorica, così come si permettere ad un miope di portare gli occhiali, quest’ultimo caso può sembrare qualcosa di più banale perché siamo più abituati a questo, ma uno studente che usa degli strumenti compensativi non è diverso da un miope che utilizza gli occhiali.

Lo studente che utilizza strumenti compensativi non è facilitato in quanto non rende meno oneroso lo studio della materia, non si troverà in una posizione di vantaggio rispetto agli altri, ma l’uso deve comunque essere integrato con un percorso di studio, strategia e una didattica adeguata, non basta fornire un PC allo studente per poter dire di aver fornito uno strumento compensativo, che non mette nessuno in una posizione avvantaggiata ma che dovrebbe aumentare la parità fra persone diverse in casi diversi.

Sostanzialmente c’è la necessità anche a scuola trattare in maniera uguale situazioni uguali ed in maniere diverse situazioni diverse.