Giornalista a vescovi: abusi non sono complotto dei mass media

Se siete contro abusi siamo amici,se coprite saremo vostri nemici

FEB 23, 2019 -

Città del Vaticano, 23 feb. (askanews) – “Se siete contro quanti commettono abusi o li coprono, allora stiamo dalla stessa parte. Possiamo essere alleati, non nemici. Vi aiuteremo a trovare le mele marce e a vincere le resistenze per allontanarle da quelle sane. Ma se voi non vi decidete in modo radicale di stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad avere paura di noi, perché noi giornalisti, che vogliamo il bene comune, saremo i vostri peggiori nemici”. Così Valentina Alazraki, giornalista messicana, storica corrispondente di Televisa in Vaticano dal 1974, si è rivolta all’assemblea dei vescovi convocati dal Papa per affrotnare il problema degli abusi sessuali.

“Mi occupo del Vaticano da quasi 45 anni. Cinque pontificati diversi, importantissimi per la vita della Chiesa e del mondo, con luci e ombre. In questi quattro decenni ho visto proprio di tutto. Quante volte mi è toccato ascoltare che lo scandalo degli abusi è ‘colpa della stampa, che è un complotto di certi mass media per screditare la Chiesa, che dietro ci sono poteri occulti, per mettere fine a questa istituzione’! Noi giornalisti sappiamo che ci sono informatori più rigorosi di altri, e che ci sono mass media più o meno dipendenti da interessi politici, ideologici o economici. Ma credo non si possa in alcun caso colpevolizzare i mass media per aver rivelato gli abusi o informato su di essi. Gli abusi contro i minori non sono pettegolezzi né chiacchiere, sono crimini”.

“Ricordo le parole di papa Benedetto XVI, durante il volo per Lisbona, quando ci ha detto che la più grande persecuzione alla Chiesa non viene dai nemici esterni ma nasce dal peccato al suo interno. Vorrei che usciste da quest’aula con la convinzione che noi giornalisti non siamo né quelli che abusano né quelli che coprono. La nostra missione è di esercitare e difendere un diritto, che è il diritto a un’informazione basata sulla verità per ottenere giustizia. Noi giornalisti sappiamo che gli abusi non sono circoscritti alla Chiesa cattolica, ma dovete capire che con voi dobbiamo essere più rigorosi che con gli altri, in virtù del vostro ruolo morale. Rubare, per esempio, è sbagliato, ma se chi ruba è un poliziotto ci sembra più grave, perché è il contrario di quello che dovrebbe fare, cioè proteggere la comunità dai ladri. Se medici o infermiere avvelenano i loro pazienti invece di curarli, il fatto richiama di più la nostra attenzione perché va contro la loro etica, il loro codice deontologico”.

“Penso che sarebbe molto più sano, più positivo e più utile se la Chiesa fosse la prima a dare l’informazione, in modo proattivo e non reattivo, come normalmente avviene. Non dovreste attendere per rispondere a domande legittime della stampa (ovvero della gente, della vostra gente) che un’inchiesta giornalistica scopra il caso. Nell’epoca in cui viviamo nascondere un segreto è molto difficile. Con l’auge delle reti sociali, la facilità di postare foto, audio e video, e i veloci cambiamenti sociali e culturali, la Chiesa ha solo una strada: quella di puntare sul rendere conto e sulla trasparenza, che vanno di pari passo”.