##’Ndrangheta in Veneto, cittadini dal boss per risolvere problemi

E lui si vantava pubblicamnte del suo potere criminale

FEB 12, 2019 -

Roma, 12 feb. (askanews) – Estorsione, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, trasferimento fraudolento di valori, resistenza a pubblico ufficiale, incendio, minaccia, tentata frode processuale, tutti reati aggravati dalle “modalità mafiose”: l’operazione Terry dei carabinieri del Ros ha accertato “per la prima volta da un punto di vista giudiziario” la presenza in Veneto della ‘ndrangheta, con “un gruppo criminale di origine calabrese, legato da vincoli familiari, radicatosi in Veneto e responsabile di gravi reati, commessi con le modalità tipicamente mafiose”. E ne ha rivelato il radicamento: da un lato il boss Domenico Multari si vantava pubblicamente del suo potere criminale, proprio per assoggettare chi gli stava davanti; dall’altro “imprenditori e comuni cittadini, pienamente consapevoli del suo spessore criminale”, al boss si rivolgevano “per risolvere ogni tipo di problema economica e privata, preferendolo agli apparati statali”, spiegano gli investigatori.

I carabinieri del Ros, supportati dai comandi provinciali di Verona, Venezia, Vicenza, Treviso, Ancona, Genova e Crotone, con i nuclei elicotteri di Bolzano e Belluno e le unità cinofili di Padova, hanno eseguito 20 perquisizioni e 7 arresti (5 in carcere e due ai domiciliari), a carico di 15 indagati.

Le indagini, avviate con la Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Venezia e condotte dal Ros, hanno stretto il cerchio nei confronti dei componenti della famiglia cutrese dei Multari, legata alla cosca di Nicolino Grande Aracri e composta dai fratelli Domenico, Carmine e Fortunato, e da Antonio e Alberto, figli di Domenico, “da anni responsabile di gravi condotte illecite commesse, con la complicità di soggetti residenti nelle province di Crotone e Venezia, con l’aggravante del metodo mafioso”.

Le indagini hanno accertato – spiegano i carabinieri – numerose condotte illecite, come una serie di estorsioni ad alcuni imprenditori Veneti, tra cui l’incendio di uno yacht nel 2015, ormeggiato nel porto di Alghero. Lo yacht era oggetto di contenzioso, l’acquirente aveva accertato gravi vizi strutturali, e doveva essere distrutto per non consentire l’esecuzione delle perizie. Dopo un primo episodio nel quale l’imbarcazione era andata a fuoco solo parzialmente, i carabinieri del Ros erano intervenuti impedendo la reiterazione del reato.

Domenico Multari era stato colpito dalla misura di prevenzione patrimoniale del sequestro dei beni, ma è riuscito ad impedire il perfezionamento della procedura di vendita all’asta degli immobili sequestrati attraverso contratti simulati di vendita a prestanome e con minacce e violenze ai pubblici ufficiali, con la conseguenza che le aste andavano deserte e gli immobili acquistati a prezzi estremamente vantaggiosi da prestanome degli stessi Multari.