Stiamo tornando indietro

FEB 11, 2019 -

Roma, 11 feb. (askanews) – (di Elio Scocco, 18 anni)

Solo qualche settimana fa, il viceministro Di Maio asseriva che in Italia sarebbe potuto scoppiare un nuovo “boom economico”; le previsioni e le stime gli davano torto su tutti fronti e la sua affermazione sin da subito era sembrata solo di propaganda. Ma forse, quello che Di Maio non si aspettava, e nemmeno il governo, è che invece del “boom” c’è stata una vera e propria regressione: una recessione tecnica dello 0,2% del Pil nel quarto trimestre del 2018. Un colpo durissimo per tutta l’Italia; vero è che la situazione internazionale non è d’aiuto, in quanto lo stallo della Brexit e la guerra sui dazi tra Stati Uniti e Cina stanno rallentando buona parte dell’economia mondiale. Pensare adesso di poter arrivare alle stime dell’1% per il 2019 sembra qualcosa di inconcepibile, più che altro perché non sembrano esserci i segnali di un vero cambiamento.

Inoltre, la fiducia dei mercati nei nostri confronti sta calando sempre più. Secondo il Ministro dello Sviluppo Economico, i dati sono il risultato di politiche inefficienti degli scorsi governi, anche se qualcosa di simile non si registrava dal 2013. Le elezioni europee sono dietro l’angolo, e i componenti di questo particolare governo lo sanno. Per quanto i sondaggi abbiano una notevole importanza, nel caso in cui il sorpasso della Lega ai danni dei Cinque Stelle venisse certificato dal voto popolare, gli equilibri a Palazzo Chigi cambierebbero e non poco. Il mandato Conte sembra sempre più essere un’eterna campagna elettorale. Gli slogan si sprecano, sono continui. I fatti non mancano, ma hanno sempre uno sfondo propagandistico. Le parole di Salvini e Di Maio sono arrangiate alla campagna elettorale sui social network; millantare un nuovo “boom economico”, utilizzando questa espressione sensazionalistica, è qualcosa di poco professionale e istituzionale. Giusto è cercare di difendere e promuovere il proprio operato, assolutamente, ma, secondo la logica, si difende e promuove ciò che si è fatto, degli elementi reali: per adesso il nuovo governo si muove attraverso proclami e slogan. Non c’è ancora molto da commentare, nemmeno il reddito di cittadinanza e quota 100, perché ancora non sappiamo né le modalità di queste due manovre né se verranno attuate come promesso in campagna elettorale. Il problema più grave è però quello di un’Italia che non riesce a crescere e continua a perdere fiducia tra i partner internazionali. Un Paese che è chiamato a fare del lavoro il punto centrale della propria azione di governo sta ponendo come questioni vitali misure che costano miliardi di euro e non creano nuovi posti di lavoro. O meglio, verranno assunti 10.000 dipendenti statali come tutor per il reddito di cittadinanza. Ecco, forse questo non è il metodo migliore per formare nuovo lavoro: assumere altri dipendenti statali è solo un ulteriore gravare sui bilanci del Paese che non porta nessuna crescita economica. Forse la crisi del 2008 passerà alla storia come quella del ’29, ma di passi in avanti se n’erano fatti negli ultimi anni. Ora le misure che il governo sta adottando sono dannose su più fronti: esse hanno dei costi ingenti, non creano nuovo lavoro, non aiutano l’economia a riprendersi, non rassicurano gli investitori. Per non parlare della questione morale che si solleva quando si parla del reddito di cittadinanza, ovvero se verrà mantenuta la dignità del lavoro e di chi lavora, della quale si avrà modo di parlare più avanti, quando sapremo con certezza come la manovra verrà attuata. Il governo Conte deve riprendere il contatto con la realtà, altrimenti le conseguenze potrebbero essere molto gravi.