Troppo tempo su Fb durante lavoro,Cassazione conferma licenziamento

Il caso della segretaria part time collegata 4.500 in 18 mesi

FEB 1, 2019 -

Roma, 1 feb. (askanews) – Non si può stare sui social mentre si è al lavoro. La sezione lavoro della Cassazione, con sentenza numero 3133, ribadisce quanto stabilito dalla corte d’appello di Brescia e biasima l’abitudine di distrarsi su Facebook od Instagram. In particolare i supremi giudici hanno confermato il licenziamento disciplinare di una segretaria part time in uno studio medico, che in 18 mesi si era collegata dal computer del suo ufficio 4.500 volte a Facebook. Il titolare le aveva contate attraverso la cronologia del computer: in generale gli accesi a internet erano stati 6.000, “per durate talora significative”.

E di fronte alla possibile insufficienza di prove rispetto ad un collegamento a Facebook la Cassazione non è entrata nel merito, limitandosi a rilevare che la questione attiene al convincimento del giudice di merito, che ha motivato la decisione col fatto che “gli accessi alla pagina Facebook personale richiedono una password, sicché non dovevano nutrirsi dubbi sulla riferibilità di essi alla ricorrente”.

E poi al Palazzaccio hanno aggiunto: nessuna “violazione delle regole sulla tutela della privacy”, come sostenuto dalla lavoratrice nel suo ricorso, mentre la riconducibilità alla sua persona della consultazione di siti “estranei all’ambito lavorativo” è stata riscontrata grazie al fatto che “gli accessi alla pagina personale Facebook richiedono una password”, cosa che esclude “dubbi sul fatto che fosse la titolare dell’account ad averlo eseguito”.

Secondo quanto spiegato dalla Cassazione si deve ricordare che già con la sentenza 10280 del 27 aprile 2018 è stata esaminata una fattispecie di licenziamento per giusta causa, comminato ad una dipendente che aveva pubblicato, sulla propria bacheca di Facebook, affermazioni del seguente tenore: “Mi sono rotta i co… di questo posto di merda e per la proprietà”. In quell’occasione gli ermellini, nel ribadire che la valutazione della giusta causa di licenziamento deve essere operata “in senso accentuativo rispetto alla regola della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 c.c.”, ha ritenuto legittimo il provvedimento, precisando, con riferimento alla frase pubblicata, che doveva ritenersi irrilevante la mancata indicazione del nominativo del rappresentante dell’azienda, essendo lo stesso facilmente identificabile.