Sindacalisti condannati, legali: scioperavano legittimamente

Il giudice: "Picchetto dotato di carica intimidatrice"

GEN 29, 2019 -

Milano, 29 gen. (askanews) – Hanno esercitato “in maniera del tutto legittima” il diritto di sciopero riconosciuto dalla Costituzione i quattro sindacalisti del Si Cobas e i tre militanti dei centri sociali condannati dal Tribunale di Milano per violenza privata per il picchetto organizzato davanti ai cancelli della Dhl Supply Chain di Settala, comune a Est del capoluogo lombardo, dove nel marzo 2015 si erano riuniti decine di lavoratori delle cooperative di facchinaggio impiegate dalla multinazionale della logistica per chiedere il riconoscimento dei diritti previsti dal contratto nazionale di categoria. La denuncia arriva dagli avvocati Mirko Mazzali, Eugenio Losco e Mauro Straini, che hanno riunito in Tribunale una cinquantina di lavoratori delle cooperative di facchinaggio coinvolte per puntare il dito contro una sentenza che secondo i Cobas “colpisce le lotte sindacali e il diritto di sciopero”.

La protesta, ha spiegato l’avvocato Losco, “è durata due, al massimo tre ore, nell’arco della mattinata” ed è stata caratterizzata “dall’assenza totale di ogni manifestazione di violenza, nè fisica nè verbale”. Secondo il legale, sono stati gli stessi agenti della Digos, responsabili delle cooperative e gli altri testimoni ascoltati nel corso del processo, ad aver fatto mettere a verbale che “quel giorno non è successo nulla di eclatante”. Dito puntato, dunque, contro la sentenza emessa dal giudice Alberto Carbone che, nonostante le richieste di assoluzioni del pm, decise comunque di infliggere “pene sproporzionate” ai 7 condannati, assolvendo altri 18 imputati. “In genere per il reato di violenza privata – ha osservato l’avvocato Mazzali – si danno pochi mesi. Qui si è andati oltre i due anni, pena che si avvicina al massimo edittale di 4 anni”. Dello stesso avviso il collega Losco: “Una condanna per violenza privata implica l’uso della violenza che in questo caso non si è verificato. Qui si confonde la libera attività sindacale e il legittimo diritto di sciopero con un attività di minacce e costringimento che però non c’è stata”. Di “condanna politica” ha parlato anche uno degli operai presenti: “Non si può andare in galera solamente perchè si sciopera per rivendicare un diritto”.

Diverso il parere del giudice Carbone: “L’intensità della coartazione, sebbene non si sia tradotta in atti di aggressione fisica da cui siano scaturite lesioni personali – si legge nelle motivazioni della sentenza – non può comunque essere banalizzata. La formazione di una barriera umana composta da decine di soggetti è infatti dotata di una carica intimidatrice non trascurabile”. Al punto, rileva ancora il giudice milanese, che “nessuno degli oltre 200 dipendenti che non aderiva alla manifestazione riuscì a raggiungere il proprio posto di lavoro”. Non a caso, “una donna che intendeva superare il blocco ebbe un’accesa discussione con i manifestanti e fu colta da malore”. C’era insomma un “clima di forte tensione”, tanto che “a metà mattina la stessa azienda invitò i lavoratori a spostarsi in un’altra area per evitare possibili incidenti con gli scioperanti”. Argomentazioni non condivise dai difensori dei sindacalisti condannati, che preannunciano ricorso in appello. Perchè, come ha puntualizzato uno dei sindacalisti condannati, “in gioco c’è il diritto a esistere come lavoratori”.