Terremoti, scoperto meccanismo che amplifica la potenza del sisma

Unipd nel team di ricerca che ha studiato "motore dei terremoti"

GEN 24, 2019 -

Roma, 24 gen. (askanews) – I terremoti distruttivi per l’uomo, quelli di magnitudo 5 o superiori, si generano, almeno in Italia, fino ad una profondità di qualche decina di chilometri all’interno della crosta terrestre e sono il risultato della radiazione di onde elastiche emesse durante la propagazione di una o più rotture che si propagano a velocità di chilometri al secondo lungo superfici non planari chiamate faglie (il motore dei terremoti). La propagazione della rottura è alimentata dal flusso di energia di deformazione elastica (il combustibile del motore dei terremoti) accumulato nei secoli nei volumi di roccia prossimi alla faglia, consentendo il moto relativo e sfregamento dei blocchi di roccia ai lati della faglia a velocità di circa un metro al secondo.

Se nei terremoti piccoli, per esempio magnitudo 4, le rotture si propagano per 1 chilometro circa con spostamenti relativi dei blocchi ai lati della faglia di qualche centimetro, nei terremoti più grandi e distruttivi, magnitudo 6-7, i terremoti si propagano per diverse decine di chilometri, consentendo spostamenti relativi anche di qualche metro.

Perché il “motore dei terremoti” funziona proprio in questo modo? È possibile mettere in moto il motore dei terremoti in laboratorio e osservarne il funzionamento? Perché la maggior parte dei terremoti rimane piccola, ma in alcuni rari casi la rottura sismica si espande sempre di più fino a generare terremoti distruttivi?

Lo studio “Earthquake lubrication and healing explained by amorphous silica”, che ha visto lavorare insieme ricercatori italiani (Università di Padova e Ingv di Roma), canadesi (McGill University e New Brunswick University), inglesi (UCL di Londra) ed è stato pubblicato su “Nature Communication”, ha provato a dare alcune risposte.

In particolare sono stati effettuati degli esperimenti con un apparato sperimentale chiamato ROSA (ROtary Shear Apparatus) installato presso il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, acquistato grazie ad un finanziamento di Eccellenza della Fondazione Ca.Ri.Pa.Ro.

“ROSA infatti – spiega il prof. Giulio Di Toro, tra gli autori dello studio – è in grado, mettendo a contatto due provini di roccia di circa 2.5 cm di diametro, di riprodurre le straordinarie condizioni di deformazione (immaginate la pressione esercitata da una colonna di roccia alta chilometri) raggiunte in una faglia durante un terremoto. I blocchi di roccia scivolano l’uno sull’altro a un metro al secondo e sotto una pressione che può raggiungere qualche migliaio di atmosfere. Lo sfregamento di questi blocchi rocciosi controlla la meccanica del terremoto e l’attrito che ne consegue determina le dimensioni dell’evento sismico”.

Gli scienziati – spiega l’Università di Padova in una nota – hanno scoperto che sulle superfici di faglia, sotto queste sollecitazioni, possono venire prodotti nanosilicati. In particolare, spesso si tratta di nanoparticelle di quarzo delle dimensioni di dieci-cento miliardesimi di metro. La presenza di piccolissime quantità d’acqua tra le particelle e l’aumento di temperatura nella faglia durante il terremoto, agevolano lo scorrimento delle nanoparticelle lubrificando la faglia stessa. Il quarzo è un minerale molto comune nella crosta terrestre. Se le rocce prossime alla faglia hanno immagazzinato nei secoli grandi quantità di energia elastica, una volta che la rottura sismica si propaga in rocce contenenti quarzo, la rottura potrà propagarsi per chilometri, consentendo al terremoto di diventare sempre più grande e distruttivo.

“Con i dati ottenuti – dice Di Toro – cercheremo di capire quali siano i processi fisici e chimici che avvengono durante l’evento sismico. Questo ci permetterà una più approfondita conoscenza dei meccanismi che stanno alla base del ‘motore dei terremoti'”.