Linfoma Burkitt: identificata terza variante nei bambini iracheni

I risultati di uno studio coordinato da Istituto Pasteur Italia

GEN 14, 2019 -

Roma, 14 gen. (askanews) – Grazie alla collaborazione tra Istituto Pasteur Italia, Sapienza Università e Children’s Welfare Teaching Hospital dell’Università di Baghdad, coordinata dalla Prof.ssa Stefania Uccini, è stato possibile diagnosticare nei bambini iracheni una terza forma del Linfoma di Burkitt, caratterizzata da un’elevata incidenza di infezione da Epstein Barr Virus (EBV) e da prevalente localizzazione intestinale.I risultati dello studio sono stati recentemente pubblicati sulla rivista specialistica internazionale Pediatric Blood Cancer.

I linfomi sono tumori causati dalla proliferazione incontrollata dei linfociti, le cellule del sistema immunitario che contribuiscono a difenderci dagli agenti esterni. Più della metà dei linfomi infantili – spiega l’Istituto Pasteur Italia – è rappresentata dal Linfoma di Burkitt, un tumore molto aggressivo di cui esistono due varianti cliniche principali: quella endemica, presente nell’Africa equatoriale (dove questo tipo di linfoma rappresenta il cancro più comune nei bambini che vivono nelle regioni in cui la malaria è endemica), che si manifesta soprattutto a livello della testa e delle ossa facciali; e quella sporadica, presente in Europa, in America e in Giappone, che si sviluppa prevalentemente nell’intestino.

Un’ulteriore importante differenza tra le due principali varianti del Linfoma di Burkitt è data dal grado di correlazione con l’infezione da Epstein Barr Virus (EBV), appartenente alla famiglia degli herpesvirus e responsabile della mononucleosi infettiva. L’EBV infetta più del 90% della popolazione umana instaurando un’infezione latente asintomatica. Mentre i linfomi che si sviluppano nei bambini africani sono al 100% legati all’infezione da EBV, la forma sporadica del tumore è correlata solo al 30% alla presenza del virus. Si ipotizza dunque che mentre nei soggetti sani l’infezione da EBV sia facilmente controllata dal sistema immunitario, nei bambini malnutriti o che vivono in aree geografiche in via di sviluppo (o più in generale in individui affetti da immunodeficienza), la presenza di EBV potrebbe contribuire a causare l’insorgenza del Linfoma di Burkitt.

“La collaborazione con i colleghi di Baghdad ci ha permesso di identificare nei bambini iracheni una terza forma della malattia che si caratterizza per una elevata incidenza di infezione da EBV, come per i bambini Africani, ma con una frequente localizzazione intestinale, come per i bambini Occidentali” spiega la Prof.ssa Stefania Uccini, coordinatrice dello studio. “L’Ospedale Pediatrico di Baghdad ci invia mensilmente 10 casi di patologia pediatrica oncologica per una seconda opinione diagnostica perché a Roma, presso l’Unità di Anatomia Patologica del Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare dell’Ospedale Sant’Andrea, disponiamo di tecnologie attualmente poco utilizzate in Iraq che consentono di migliorare moltissimo l’accuratezza diagnostica” continua la Prof.ssa Uccini.

Una diagnosi corretta e tempestiva è essenziale per la terapia del Linfoma di Burkitt in quanto si tratta di un tumore molto aggressivo che prolifera e cresce molto rapidamente. Il trattamento chemioterapico, infatti, è spesso efficace e ha una percentuale di guarigione molto elevata, ma deve essere iniziato molto precocemente. “Questo lavoro, che ci porta a diagnosticare 120 casi l’anno, ha fatto emergere che nell’area geografica irachena vi è un’elevata incidenza di Linfomi di Burkitt, caratterizzati dalla frequente localizzazione a livello addominale (66%) e dall’alta percentuale di casi EBV positivi (86%). È emerso inoltre che i bambini iracheni diventano sieropositivi per il virus di Epstein Barr sin dall’età di due anni, mentre per le popolazioni occidentali la sieropositività per EBV inizia dai 14 – 15 anni in poi. I nostri risultati indicano pertanto che esistono almeno due diverse forme di Linfoma di Burkitt sporadico, uno più comune nei Paesi occidentali e in Giappone, caratterizzato da un basso tasso di casi infetti da EBV (20% – 30 %) e l’altro più comune nei Paesi in via di sviluppo, caratterizzato da un alto tasso di casi infetti da EBV (47% – 80%). La differenza tra le due forme è probabilmente dovuta alle peggiori condizioni socioeconomiche delle aree geografiche in via di sviluppo, che potrebbero favorire l’infezione da EBV già durante la prima infanzia”.

“La collaborazione Italia-Iraq – sottolinea Stefania Uccini – è molto rilevante non solo sotto il profilo medico-scientifico, ma anche perché offre ai colleghi iracheni la possibilità di uscire dall’isolamento culturale nel quale la guerra, ormai da molti anni, li costringe a vivere”. Lo studio è stato sostenuto dai finanziamenti dell’Istituto Pasteur Italia e di Sapienza Università di Roma e fa parte del programma di collaborazione scientifica “Baghdad Resolve” tra Sapienza Università e il Children’s Welfare Teaching Hospital dell’Università di Baghdad.