I martiri di Algeria, l’islam e i dubbi sulla versione ufficiale

Domani a Orano le beatificazioni volute da Papa Francesco

DIC 7, 2018 -

Città del Vaticano, 7 dic. (askanews) – Che la versione ufficiale facesse acqua è un sospetto divenuto, nel corso degli anni, certezza. I sette monaci del monastero trappista di Nostra Signora dell’Atlante di Tibhirine, in Algeria, beatificati domani per volontà di Papa Francesco, sequestrati nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, in piena guerra civile, con un rapimento rivendicato solo il 21 maggio dal “Gruppo Islamico Armato” e concluso con il ritrovamento delle loro teste decapitate il 30 maggio successivo (il resto dei corpi non è mai stato rinvenuto), non sono vittime di quella che una certa propaganda anti-islamica spacciato come scontro di civiltà.

Già il magistrale film “Uomini di Dio” del regista Xavier Beauvois, premiato nel 2010 al Festival di Cannes, discretamente accennava, nelle ultime scene, ad una discrepanza tra realtà dei fatti e ricostruzione postuma. Con la pubblicazione, 14 anni dopo l’apertura di una inchiesta promossa dalla Francia in assenza di una indagine algerina, del rapporto dell’autopsia – mai fatta sinora – sulle spoglie dei religiosi, la scorsa primavera, la già vacillante versione ufficiale ha perso ulteriormente credibilità. L’esame, ottenuto dai giudici Marc Trevidic e Nathalie Poux, appura che i crani sono effettivamente quelli dei sette monaci ma non corrispondono alle rispettive bare. Segno, ha sottolinea alla Croix l’avvocato delle famiglie, Patrick Baudouin, “della leggerezza e della precipitazione con cui hanno agito gli algerini al momento dell’inumazione”. I monaci non sono morti per decapitazione – secondo una modalità tipica degli islamisti – ma le teste sono state mozzate dopo morte, e probabilmente conservate al chiuso per un certo tempo. Smentita, per assenza di particelle metalliche, la versione di un mal riuscito assalto armato dall’elicottero dell’esercito algerino contro un campo islamista. Dubbia, infine, l’autenticità della rivendicazione islamista e plausibile che la morte – come in questi anni ha sostenuto un ex membro dei servizi segreti algerini – sia avvenuta tra il 25 e il 27 aprile. Tutte informazioni che secondo Mediapart corroborano l’ipotesi che l’assassinio “è stato il risultato imprevisto di un’operazione della polizia politica algerina finita male”.

Sono quasi duecentomila le persone – in gran parte comuni cittadini, ma anche giornalisti, attivisti per i diritti umani, intellettuali e imam – che sono stati massacrati negli anni bui del terrorismo islamista. I primi a essere stati uccisi, l’8 maggio ’94 nella biblioteca della Casbah, hanno ricostruito su Avvenire Anna Pozzi e Riccardo Maccioni, sono stati il marista Henri Vergès e suor Paul Hélène de Saint Raymond, piccola suora dell’Assunzione. Il 23 ottobre di quello stesso anno sono state assassinate suor Esther Paniagua Alonso e suor Caridad Alvarez Martin, agostiniane, nel quartiere popolare di Bab el Oued ad Algeri. Mentre il 27 dicembre a Tizi Ouzou, nella regione della Cabilia, hanno trovato la morte quattro padri bianchi: Jean Chevillard, Charles Deckers, Alain Dieulangard e Christian Chessel. Nel 1995 altri tre omicidi ad Algeri: il 3 settembre suor Bibiane e suor Angèle-Marie, delle suore di Nostra Signora degli Apostoli; quindi il 10 novembre suor Odette Prévost, piccola sorella del Sacro Cuore. L’anno successivo vengono assassinati i monaci trappisti di Tibhirine, che, in ottimi rapporti con la comunità locale, musulmana, vollero rimanere al monastero pur consapevoli del pericolo a cui andavano incontro. Il successivo primo agosto monsignor Pierre-Lucien Claverie, vescovo di Orano, che il primo agosto 1996, mentre era di ritorno da una celebrazione in suffragio dei sette monaci di Tibhirine, morì a causa di una bomba collocata nel cortile del vescovado di Orano.

Il 26 gennaio scorso Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto in cui si riconosce “il martirio dei Servi di Dio Pietro Claverie, dell’Ordine dei Frati Predicatori, Vescovo di Oran, e 18 Compagni, Religiosi e Religiose; uccisi, in odio alla Fede, in Algeria dal 1994 al 1996”.

Francesco, che nel 2017 è andato in Egitto, riallacciando i rapporti con l’università sunnita di al-Azhar, e che a marzo visiterà il Marocco, volerà a febbraio – l’annuncio a sorpresa è di ieri – ad Abu Dhabi, la prima volta di un romano Pontefice negli Emirati Arabi Uniti, ha sempre respinto l’amalgama tra islam e terrorismo, il “clash of civilization” teorizzato da Samuel Huntington proprio in quel 1996 e tornato di moda tra i leader politici mondiali di questi anni.

“Lo stesso Gesù, Figlio di Dio che ha sofferto la persecuzione e una crudele morte in croce”, ha scritto in un messaggio in latino, tradotto in italiano da Vatican News, per la beatificazione di domani, “senza alcuna colpa”, lo aveva preannunciato ai suoi discepoli: “Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20). Queste parole continuano ad essere confermate “in varie regioni e modi” mostrando a tutti noi che “le persecuzioni non sono una realtà del passato, perché anche oggi le soffriamo, sia in maniera cruenta, come tanti martiri contemporanei, sia in un modo più sottile, attraverso calunnie e falsità”. (Gaudete et exsultate, 94). La Chiesa “ha sempre avuto una particolare devozione per i martiri, che hanno testimoniato la fede e l’amore per il Signore Gesù, fino allo spargimento del sangue”, così come hanno fatto questi 19 martiri in terra algerina, che hanno dato la vita confidando nelle parole di Gesù: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra (…) Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,18.20). Il Papa chiede quindi al cardinale Becciu di trasmettere il suo “saluto fraterno ai seguaci di altre religioni e a tutte le persone di buona volontà”. Questi Beati – conclude il Papa – hanno perdonato i loro assassini, mostrando di amare più la vita eterna, e ora “sono in possesso di ciò che hanno amato e, con la risurrezione dai morti, l’avranno con maggior pienezza” (S. Agostino, Sermone 302,7).

A celebrare la messa di beatificazione, domani presso il Santuario di Notre-Dame de Santa Cruz a Orano, città resa celebre dal romanzo “La peste” di Albert Camus, sarà il cardinale prefetto della congregazione delle Cause dei santi, Angelo Becciu nonché, segno del carattere speciale dell’evento, nominato da Jorge Mario Bergoglio “inviato speciale” alla celebrazione eucaristica. Un particolare della celebrazione dà il tono dell’appuntamento. Con il vescovo Pierre-Lucien Claverie perse la vita Mohammed, il suo autista, musulmano. E alla celebrazione ci sarà un’icona ufficiale in cui verranno raffigurati i 19 martiri e insieme a loro anche un questo ragazzo musulmano, ha raccontato padre Thomas Georgeon, monaco trappista e postulatore della causa di beatificazione a Radio InBlu.

“Abbiamo incontrato Papa Francesco con i vescovi algerini nel settembre 2017”, ha raccontato il religioso. “Il Papa era aggiornato sulla causa. Abbiamo percepito la sua volontà di vedere questa causa arrivare a compimento. Il Papa però ci ha ribadito più volte la necessità di fare delle catechesi per aiutare la gente a capire bene cosa si celebrerà nella beatificazione. Non si tratta di riaprire le ferite del passato. Bisogna celebrare questa beatificazione guardando l’avvenire. E il Papa ci ha fatto inoltre capire che non si doveva ferire nessuno”. In questa vicenda “si mescola il sangue di cristiani e musulmani. Non si tratta per la Chiesa algerina di celebrare solo martiri cristiani perché questi beati sono stati uccisi tra il 1994 e il 1996 ma tra il 1990 e il 2000 sono stati uccisi quasi 200 mila algerini tra fanciulli, mamme e imam. In un certo senso è anche una celebrazione per loro”.