Dai sessantottini ai lamentatori. Il movimento del Sessantotto visto da un Millennial

MAG 16, 2018 -

Roma, 7 dic. – (Di Edoardo Martorana, 18 anni).

Quando un giovane oggi sente parlare di ’68 e sessantottini non sa cosa sia e, nel migliore dei casi, capisce solo parzialmente la rivoluzione sociale avvenuta nel 1968. Probabilmente è colpa dei programmi scolastici che non si focalizzano molto sul secondo dopoguerra; infatti uno dei pochi modi in cui un ragazzo viene a contatto con quest’epoca storica è tramite i parenti… O Wikipedia. Quando per la prima volta ne sentii parlare rimasi entusiasta, avevo quasi gli occhi lucidi pensando alle conquiste che avevano ottenuto operai, studenti, donne. Fu come scoprire un nuovo mondo perché, per me, quei diritti c’erano sempre stati, non erano mai stati ottenuti. E subito dopo mi domandai: i giovani italiani sono in grado di far scattare una rivoluzione sociale, anche di portata molto minore rispetto al ’68, occupando le università e partecipando attivamente agli eventi? La risposta che mi sono dato è stata: no. Oggi infatti i “Millennials made in Italy” sembrano, generalmente, sedati da un’illusione di libertà che sfocia nel lamento senza criterio. Io lo sperimento in prima persona: quando si propone una manifestazione di piazza per risolvere i problemi strutturali della nostra scuola e gli aderenti su 800 alunni sono soltanto 200, gli altri 600 invece di scendere in piazza si limitano ad un post su Facebook o una storia su Instagram con didascalie banali come “#sentofreddo”. Tutto viene visto con distacco e passività e spesso i miei coetanei guardano alle lotte per migliori condizioni di lavoro, per ottenere scuole che non cadano a pezzi o per rivendicare l’uguaglianza fra tutti gli individui come cose che non li riguardano, o per le quali non vogliono combattere perché “tanto non cambia niente”. Forse è questo il vero problema di oggi e delle generazioni post sessantottine in Italia, non aver compreso il valore di quella rivolta, non aver recepito quel desiderio di rivendicare dei diritti. Ed ora ci ritroviamo in un Paese dove a pochi importa del “bel Paese”, a pochissimi importa del bene comune e questo, secondo me, decreta la morte della democrazia partecipativa. Un messaggio per i miei coetanei: invece di stupirvi con “Liberté, Egalité, Fraternité”, imparate a conosce ed apprezzare “È proibito proibire” che gli studenti del tempo scrivevano sui cartelli.