E’ crollato il muro di gomma sul caso Cucchi

Il carabiniere Tedesco accusa i colleghi

OTT 11, 2018 -

Roma, 11 ott. (askanews) – Un’altra verità per Stefano Cucchi.

Nel processo bis per la morte del giovane geometra il pm Giovanni Musarò ha spiegato che uno degli imputati si è sfilato di fatto dal ‘muro di gomma’ eretto in questi anni ed ha deciso nei mesi scorsi di parlare e ammettere le sue responsabilità indicando le condotte dei suoi commilitoni. L’imputato in questione è il carabiniere Francesco Tedesco, “il 20 giugno 2018 – ha detto il magistrato – ha presentato una denuncia contro ignoti in cui dice che quando ha saputo della morte di Cucchi ha redatto una notazione di servizio”.

Nell’ambito di questa iniziativa è stato iscritto un procedimento contro ignoti nell’ambito del quale lo stesso Tedesco ha reso tre interrogatori. “In sintesi ha ricostruito i fatti di quella notte e chiamato in causa gli altri imputati: Mandolini, da lui informato; D’Alessandro e Di Bernardo, quali autori del pestaggio; Nicolardi quando si è recato in Corte d’Assise, già sapeva tutto”. In breve quella sera di ottobre del 2009 quando il giovane geometra venne arrestato e condotto in caserma assume ben altre connotazioni rispetto a quanto era stato rappresentato all’epoca. Ad aggiungere tinte cupe c’è che quel verbale è stato fatto sparire.

“La annotazione di servizio è stata sottratta e il comandante di stazione dell’epoca non ha saputo spiegare la mancanza”. Sotto processo ci sono Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, tutti imputati di omicidio preterintenzionale e abuso di autorità; Roberto Mandolini di calunnia e falso, e Vincenzo Nicolardi di calunnia. Le dichiarazioni del magistrato all’avvio dell’udienza e la notizia di una nuova indagine, per falso ideologico, che chiama in causa ancora i carabinieri e le loro vie ufficiali fa riflettere ancora sul caso di Cucchi. Per questo la sorella Ilaria spiega ai microfoni dei cronisti: “Oggi mi aspetto le scuse del ministro dell’Interno. A Stefano e alla nostra famiglia per tutto quello che ha sofferto”.

Nel paesaggio di indagati, imputati e vittime ci sono i personaggi del primo processo, sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria. C’era una realtà che voleva Stefano picchiato nelle celle del tribunale dai secondini. I diversi gradi di giudizio hanno però affermato in modo netto che tutto quanto rappresentato era una cortina di fumo e che quegli agenti non avevano fatto nulla. Il trascinarsi del processo ai dottori, dopo una pronuncia della Cassazione, restituisce il ritratto di una vicenda intricata di perizie e consulenze, dove difficile era trovare un barlume di luce e chiarezza.

Le parole del carabiniere Tedesco danno linearità all’inizio della via crucis di Cucchi. Come spiegò il pubblico ministero nel corso della requisitoria d’appello il piano inclinato ha fatto cadere la sfera e nessuno ha provato a fermarla, a salvare un ragazzo arrestato per spaccio di droga, con un passato di tossicodipendenza e il diritto a tornare di tornare a casa, dalla famiglia. Il papà e la mamma di Stefano oggi non hanno voluto dire nulla. Seduti in fondo all’aula hanno parlato a bassa voce, scambiandosi qualche impressione. “Il dolore di vedere la verità a volte non viene mai superato”, è stato scritto.

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