##Mafia, processo “trattativa”: dopo 5 anni oggi la sentenza

Grande attesa al carcere Pagliarelli di Palermo

APR 20, 2018 -

Palermo, 20 apr. (askanews) – Il primo capitolo di quello che è ritenuto uno dei processi più controversi degli ultimi anni si chiuderà oggi pomeriggio nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo. La Corte d’Assise presieduta dal giudice Alfredo Montalto emetterà la sentenza sul processo sulla trattativa Stato-mafia.

Iniziato il 27 maggio 2013, in questi 5 anni sono state celebrate oltre 200 udienze, ed ascoltati centinaia i testi. Sul banco degli imputati, dopo la morte di Totò Riina lo scorso 17 novembre, erano rimasti i boss mafiosi Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Cinà; quindi gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno; Massimo Ciancimino, l’ex senatore di FI Marcello Dell’Utri e l’ex ministro Nicola Mancino che deve rispondere di falsa testimonianza. Per Ciancimino, invece, l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Tutti gli altri imputati sono accusati di violenza a Corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.

Secondo l’accusa, gli imputati avrebbero dato vita ad un confronto, una trattativa appunto, tra Cosa nostra e parti delle istituzioni. Una strategia atta a porre fine agli attentati e le stragi del biennio 1992-94, e cedere alle richieste da parte della criminalità organizzata.

Per loro i pubblici ministeri Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e i sostituti della Procura nazionale antimafia Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, hanno chiesto pene che vanno dai 15 anni di reclusione per il generale Mario Mori, ai 12 anni per il generale Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno. Dodici anni anche per l’ex senatore Marcello Dell’Utri; 6 anni per Mancino. Di 16 anni, invece, è stata chiesta per il boss Bagarella; mentre 12 anni per Cinà. Il non doversi procedere è stato chiesto per Giovanni Brusca; condanna a 5 anni per Ciancimino per l’accusa di calunnia e il non doversi procedere per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, perché prescritto.

Quella sulla trattativa è stata un’inchiesta che ha spaccato in due l’opinione pubblica. Le indagini dei pm hanno attraversato oltre quattro decenni di storia italiana, in un percorso che in cui il biennio stragista del 1992-94 ha rappresentato uno spartiacque. Un processo che nel 2012 ha sfiorato anche i saloni del Quirinale, quando furono registrate quattro telefonate tra Nicola Mancino e l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che decise di sollevare un conflitto d’attribuzione di poteri davanti alla corte Costituzionale, con la Consulta che ordinò record la distruzione di quelle intercettazioni.

Nel bunker del Pagliarelli non ci sarà l’ex ministro Calogero Mannino, che ha scelto il rito abbreviato, venendo assolto. L’accusa è di minaccia e violenza a corpo politico dello Stato: una fattispecie che gli imputati avrebbero commesso intimidendo il governo per ottenere l’ammorbidimento della lotta a Cosa nostra in cambio della fine delle stragi nonchè la cancellazione della condanna a morte emessa da Cosa nostra nei confrotni di alcuni politici.