Strage dei migranti del 3 ottobre 2013, la memoria in un parco a Bologna

Tra 5 giorni ad Agrigento l'udienza sulle "due navi fantasma"

APR 13, 2018 -

Roma, 13 apr. (askanews) – Il 3 ottobre del 2013 una imbarcazione libica colma di migranti affondò a circa 800 metri da Lampedusa. I morti accertati furono 368 e circa 20 i dispersi presunti. Fu una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo, che ormai da troppo tempo è divenuto un cimitero per migliaia di essere umani. I superstiti furono 155, di cui 41 minori. Da oggi a Bologna c’è il primo luogo pubblico intitolato alla tragedia del “3 ottobre 2013, giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”. Un giardino, tra le vie Papini e di Corticella nel quartiere Navile, per ricordare quella strage, su cui peraltro, ancora, non è stata fatta pienamente luce.

Ci sarà infatti il prossimo 17 ottobre, a ormai quasi cinque anni di distanza, davanti al tribunale di Agrigento, l’udienza preliminare sull’ipotesi di omissione di soccorso di due “navi fantasma” che avrebbero incrociato il barcone carico di profughi pochi minuti prima del naufragio senza prestare loro aiuto e senza neanche avvertire le autorità. Questo avevano raccontato alcuni superstiti intervistati allora dall’Agenzia Habeshia: “Erano due navi grandi, di colore chiaro e della stazza di una motovedetta o di un peschereccio d’altura. Navigavano in coppia a poche centinaia di metri da noi, verso il largo. La nostra barca era ormai a meno di un chilometro dalla riva. Una delle due navi ha cambiato direzione, facendo un largo giro completo intorno al nostro barcone stracarico e poi ha ripreso velocemente la rotta, raggiungendo l’altra che si stava allontanando. Alcuni di noi, convinti che non ci avessero avvistato, hanno pensato di segnalare la nostra presenza dando fuoco a una coperta intrisa di gasolio. C’è stata una fiammata enorme che ha innescato un principio d’incendio. A quel punto, centinaia di persone, spaventate, si sono precipitate d’istinto sul lato opposto del ponte. E’ così che il barcone ha perso l’assetto: si è rovesciato ed è andato a fondo”. Voci inizialmente rimaste inascoltate ma che in seguito hanno portato all’avvio dell’inchiesta.

Per il coordinamento eritrea democratica, che ha la sua sede a Bologna dove c’è una numerosa comunità, il 3 ottobre 2013 è “una pagina di grande importanza, in particolare, nel libro della diaspora eritrea, a cui appartenevano quasi tutti i morti di Lampedusa, ma anche in quello delle tante altre diaspore. Prima di tutto per i familiari delle vittime, che avranno così un luogo simbolo che ricordi il sacrificio dei loro cari: un luogo della memoria, perché il ricordo di quelle vite spezzate non si perda mai e diventi anzi un monito perché cessino finalmente le politiche che innalzano muri, promuovendo chiusura e respingimento anziché solidarietà e accoglienza, e calpestando i diritti fondamentali di ogni uomo, a cominciare da quello alla vita stessa. E perché, più in generale, si arrivi a costruire un mondo migliore, dove nessuno sia costretto ad abbandonare il proprio paese, la casa, da guerre, dittature, terrorismo, persecuzioni, fame e miseria endemiche, l’assoluta mancanza delle condizioni per uno sviluppo umano”.

“Siete vivi. Siete condannati a sentire queste urla, questo grido. Non vi tapperete le orecchie. Perché il nostro grido è forte e lungo. Niente lo può fermare”, dice una voce narrante nel documentario “Asmat-Nomi” (visibile su http://www.archiviomemoriemigranti.net/film/co-produzioni/asmat-no mi/ ) di Dagmawi Yimer, regista etiope, oggi rifugiato in Italia, che ricorda la strage attraverso il rumore dell’acqua, disegni di relitti, corpi, volti. E soprattutto il richiamo dei nomi che salgono dal fondo del mare dei migranti che hanno perso la vita in mare alla ricerca di un futuro migliore”.