Epilessia, bimbi e adulti discriminati. Serve più informazione

Esperto: troppa paura, poca cultura. Ecco come affrontare malattia

FEB 8, 2018 -

Roma, 8 feb. (askanews) – La gita di classe insieme ai compagni resta confinata tra i desideri irrealizzabili. Il centro estivo inaccessibile. E spesso anche lo scuola bus preferisce non averli a bordo. I bimbi malati di epilessia ancora oggi vengono considerati ‘diversi’, emarginati da adulti e coetanei, lasciati soli con la propria patologia. Ma anche per i più grandi i problemi non sono pochi, e a volte si è costretti a mentire per non perdere il lavoro. “Le crisi epilettiche per chi non è del mestiere o non ha una specifica formazione fanno paura. E’ un problema culturale antichissimo ma ancora presente e l’unica arma per combatterlo è l’informazione”, spiega Stefano Bellon, presidente dell’Aice-Associazione italiana contro l’epilessia Veneto, e medico di medicina generale di Padova.

Nel convegno ‘Update in epilettologia’ 2018, che il 9 e 10 febbraio riunirà a Padova i maggiori esperti, medici e professionisti del settore, per una due giorni dedicata all’epilessia, Bellon spiegherà come convivere con la malattia, in un confronto con caregivers, familiari e mondo della scuola. “L’epilessia è una patologia come le altre, curabile nel 75% dei casi e con cui si può convivere – spiega l’esperto – E chi ne è affetto non è una persona diversa né incapace di condividere con gli altri la propria quotidianità. Eppure il pregiudizio in Italia è ancora altissimo: c’è chi pensa si tratti di una patologia psichiatrica, chi si spaventa, chi si allontana. Basti pensare che ancora oggi in molti omettono di comunicare la diagnosi alla scuola o al proprio capo. Senza contare che tra una crisi e l’altra possono passare anni in cui si conduce una vita normale”.

E così, per chi soffre di epilessia le difficoltà, dovute a crisi improvvise e terapie farmacologiche, aumentano ancora di più: “Spesso sia il bambino che l’adulto sono vittime di discriminazione – osserva Bellon -. Può accadere ad esempio che ai più piccoli venga negata la possibilità di partecipare a gite scolastiche, ai centri estivi, di utilizzare lo scuolabus, perché gli operatori non sono formati. L’adulto invece vive nel terrore di perdere il lavoro. Se per caso deve maneggiare apparecchi sofisticati o congegni elettronici o incentra la sua attività sulla guida non è raro che nasconda la malattia. E se non c’è la pazienza e la collaborazione di chi li circonda, le ripercussioni sulla crescita e l’autostima possono essere distruttive”.

“Nonostante le linee guida ministeriali del 2005 – spiega l’esperto – c’è ancora poca chiarezza sulla somministrazione dei farmaci a scuola. Agli operatori scolastici viene richiesta solo una disponibilità, quindi, spesso, davanti a una crisi, si fa ricorso immediato al sistema di emergenza-urgenza. Invece l’80% delle crisi epilettiche necessitano di poche manovre semplicissime: sdraiare la persona a terra, metterla su un fianco, eliminare eventuale oggetti contundenti, confortarla, e nel giro di 3-4 minuti la crisi si risolve spontaneamente. In caso contrario si deve allertare il 118 o somministrare il farmaco. Bisogna spiegarlo e per questo l’Aice in Veneto ha iniziato un’intensa attività formativa, anche con il mondo della scuola”.

Per la donna c’è poi una difficoltà in più: “La gravidanza va programmata, la terapia va sospesa e modificata, con il rischio di esporre la persona a crisi epilettiche, che però non possono assolutamente avvenire quando si è incinta. Poi c’è la fase del parto e l’allattamento. E’ un momento molto critico e in Italia sono poche le strutture sanitarie dedicate a questi servizi, come sono pochi anche i centri di eccellenza per la chirurgia dell’epilessia, un’opzione valida per buona parte dei pazienti farmacoresistenti. Bisogna generare cultura – conclude Bellon – anche sulla classe medica e su chi programma i servizi sanitari, serve maggiore attenzione nei confronti di una patologia neurologica così importante”.