Lamezia, tratta di esseri umani: 7 arresti, anche un italiano

E sei nigeriani. Reclutavano donne in Africa

DIC 19, 2017 -

Roma, 19 dic. (askanews) – Tratta di esseri umani, acquisto e alienazione di schiavi, immigrazione clandestina, riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione con l’aggravante della transnazionalità. Con queste acuse stamattina tra Lamezia Terme, Rosarno e Livorno, i carabinieri del gruppo di Lamezia Terme hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro nei confronti di sette persone, sei nigeriani e un italiano. Le indagini, iniziate nel gennaio 2017 a seguito della denuncia di una delle vittime, dirette dal sostituto procuratore Debora Rizza, dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e dal procuratore capo Nicola Gratteri della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, hanno permesso di individuare un sodalizio criminale, operante nel territorio italiano e con ramificazioni in Nigeria e Libia.

I vertici dell’organizzazione “reclutavano” giovani donne africane adescandole con la promessa di un lavoro in Italia. Le donne venivano sottoposte a rituali di magia nera “vodoo/juju”, per vincolarle al pagamento del debito contratto per effettuare il viaggio verso la penisola italiana, ammontante a circa 30.000 euro. Rompere il giuramento, nella loro cultura, avrebbe portato disonore e gravi conseguenze anche nei confronti dei familiari. Da quel momento iniziava per loro un lungo e terrificante viaggio, durante il quale, attraverso il deserto del Niger, venivano trasferite in Libia, ove attendevano, fra violenze e abusi inauditi, di essere imbarcate per l’Italia. Nei frequenti casi in cui le donne, durante queste attese, venivano catturate e trattenute presso campi di prigionia, il gruppo criminale, grazie ai suoi ramificati contatti con soggetti chiamati “connection men”, riusciva a corrompere le guardie libiche e, previo pagamento di 5000 dinar, a farle liberare. Giunte finalmente sulle nostre coste, ad attenderle non vi era, però, la vita promessa.

Rintracciate presso i centri di accoglienza, venivano trasferite in varie località e lì costrette alla prostituzione senza possibilità di ribellione, pena minacce e violenze. L’unica priorità per le loro madam era che pagassero il debito contratto, tanto da costringerle ad abortire in casa e da privarle del cibo e dell’acqua se non avessero guadagnato abbastanza durante il giorno. Parte dei guadagni dell’attività di meretricio, inoltre, venivano investiti in una “contribution”, una cassa comune messa a disposizione delle madam per l’acquisto di nuove donne. L’attività ha così permesso di identificare i soggetti facenti parte dell’associazione e di disarticolare parte di una complessa organizzazione operativa fra Nigeria, Libia e Italia.