Cyber spionaggio, Mele: Social media sono obiettivo

"Human intelligence normalità fuori e dentro Internet"

DIC 11, 2017 -

Roma, 11 dic. (askanews) – “Le accuse dell’intelligence tedesca nei confronti del presunto cyber spionaggio condotto sui social media dalla Cina, a prescindere dalla loro conferma o meno, segnalano bene come l’anello più debole, anche in questo caso, si riveli proprio quello umano e non l’elemento tecnologico”. È quanto ha detto a Cyber Affairs Stefano Mele, presidente della Commissione Sicurezza Cibernetica del Comitato Atlantico Italiano.

Secondo l’esperto, “le attività di raccolta informativa a danno di aziende, Pubbliche Amministrazioni e governi, sempre di più avvengono attraverso vere e proprie operazioni di cyber intelligence supportate principalmente da vaste campagne di ingegneria sociale, ovvero, semplificando, da attività atte a sfruttare le debolezze psicologiche degli utenti detentori delle informazioni che si intendono acquisire”.

Per Mele, “non è un caso, infatti, che questa tipologia di attività, che va sotto il nome di human intelligence – abbreviata in humint -, sia da sempre una delle principali attività operative di ogni servizio segreto fuori e dentro il cyber spazio”. Chi realizza questo tipo di spionaggio? “Normalmente”, rimarca ancora, “questo genere di attività viene condotta da appartenenti ai servizi di intelligence o da gruppi o soggetti singoli che collaborano con questo genere di strutture”. Per quanto concerne, invece, le informazioni che chi spia punta ad acquisire, l’esperto sottolinea che “sono le più disparate e variano a seconda delle specifiche esigenze dell’apparato d’intelligence: si va da informazioni su una persona fisica oggetto di attenzione, fino alla mappatura di persone, processi, aree e attività di un’azienda, una PA o un governo”.

Sul perché questa attività di intelligence venga messa in atto, Mele spiega che “è fatta per ottenere vantaggi informativi, politici, economici o militari”. Ciò, evidenzia, rende “assolutamente plausibile che anche specifici personaggi e aziende italiane siano spiati e sottoposti a tentativi di acquisizione di informazioni fuori e dentro la Rete, anche ovviamente attraverso i social network”.

In fondo, aggiunge Mele, “questo genere di attività ha diversi vantaggi per chi le conduce: in primis permette di contare su un alto livello di anonimato, ma anche di creare un distacco tra il soggetto che guida o realizza l’operazione e quello che la subisce”.

Il progresso tecnologico, conclude l’esperto, “ha avuto un’accelerazione tale per cui ancor oggi è evidente la notevole difficoltà che ogni utente ha nel seguire queste innovazioni, soprattutto se la analizziamo sul piano della cultura della sicurezza e della consapevolezza dei rischi connessi. Infatti”, sottolinea, “la soluzione e la difesa da queste pratiche di spionaggio passa proprio e principalmente attraverso la cultura. Qualsiasi persona può essere avvicinata fuori e dentro la Rete per ottenere informazioni. Non esistono persone che possono sentirsi escluse da questo rischio perché magari pensano di non custodire informazioni rilevanti. Di solito, infatti, per un’operazione d’intelligence condotta con questi mezzi, ovvero i social, si utilizzano anche informazioni apparentemente insignificanti, ma che magari possano essere utili ad accreditarsi come ‘affidabili’ verso questo o quell’altro capo o dirigente”.

(Fonte: Cyber Affairs)