Salute, testata nuova tecnica terapia genica contro il Parkinson

Studio sui topi condotto da In-Cnr e Irccs San Raffaele Milano

SET 7, 2017 -

Roma, 7 set. (askanews) – Molte malattie neurodegenerative, come il Parkinson o la demenza a corpi di Lewy, colpiscono in modo diffuso le cellule cerebrali. Uno studio italiano dimostra la capacità inedita di un nuovo vettore virale di diffondersi e rilasciare un gene terapeutico in tutto il sistema nervoso centrale, un risultato fondamentale per lo sviluppo di terapie geniche contro queste patologie. Non solo: i ricercatori hanno testato la tecnica su modello sperimentale del Parkinson nel topo, riuscendo a ridurre i depositi tossici che causano la morte dei neuroni e a migliorare la salute degli animali.

Il lavoro è coordinato da Vania Broccoli, ricercatrice presso l’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Milano e capo dell’unità di ricerca in Cellule Staminali e Neurogenesi dell’Irccs Ospedale San Raffaele. Lo studio, finanziato da Comunità Europea, Regione Lombardia e associazione americana Michael J. Fox Foudation, è stato pubblicato su Molecular Therapy del gruppo Cell.

“Alla base della malattia di Parkinson e di altre simili (i parkinsonismi) c’è la formazione di depositi tossici di proteine, tra cui la principale è nota come sinucleina. Questi depositi causano la morte dei neuroni dopaminergici e rendono disfunzionanti molti altri neuroni, con sintomi motori debilitanti”, spiega Broccoli, coordinatrice dello studio. “Mentre esistono diverse cure per trattare i sintomi, mancano trattamenti efficaci nel rallentare la progressione della patologia, attaccando la formazione dei depositi tossici. La terapia genica, con la sua capacità di fornire geni terapeutici alle cellule, è un’ottima candidata: sappiamo infatti che l’enzima prodotto dal gene GBA1 è in grado di smaltire questi depositi e ci sono evidenze della riduzione della capacità di azione di questo enzima nella malattia del Parkinson. Circa il 5% dei malati di Parkinson, quelli con le forme più aggressive e precoci, presentano una mutazione nel gene GBA1, che rende questo enzima ‘spazzino’ poco efficace. Poter fornire alle cellule nervose di questi pazienti maggiori copie del gene potrebbe aiutarle a produrre la giusta quantità di enzima per eliminare i depositi, facendo così regredire la malattia”.

Il problema – sottolinea una nota – è che i vettori virali impiegati di solito in terapia genica – ovvero i virus che, svuotati del loro contenuto virale, vengono utilizzati per consegnare i geni terapeutici alle cellule – sono incapaci di diffondersi nel sistema nervoso e agiscono solo su aree di tessuto ridotte. Il virus testato nello studio, e messo a punto appena un anno fa presso il California Institute of Technology, è diverso. “La scoperta dell’efficacia di questo nuovo vettore nel superare la barriera emato-encefalica e nel diffondersi in tutto il cervello è fondamentale: cambia le carte in tavola per il trattamento delle malattie neurodegenerative diffuse come il Parkinson”, prosegue la ricercatrice. “Con questo vettore la terapia genica per questi disturbi diventa molto efficace. Lo abbiamo dimostrato nel caso del Parkinson. Seppure si tratti di un risultato limitato al modello sperimentale, è molto promettente”.

Nello studio infatti, dopo aver caratterizzato la capacità di questo virus di diffondersi in tutto il sistema nervoso centrale, i ricercatori hanno testato la sua efficacia dandogli da consegnare, nel cervello di topi parkinsoniani, il gene terapeutico GBA1, quello che produce l’enzima spazzino in grado di eliminare i depositi proteici. “Una singola iniezione nel sangue di questo virus ha permesso di attivare il gene GBA1 in vaste aree del cervello e prevenire o rallentare la formazione degli accumuli, proteggendo i neuroni”, conclude Broccoli. “In animali parkinsoniani questo trattamento ha bloccato lo sviluppo della malattia, mantenendo inalterate le loro capacità motorie e cognitive, con un aumento dell’aspettativa di vita. Il prossimo passo sarà testare ulteriormente sicurezza ed efficacia della terapia in laboratorio prima di arrivare al primo studio sull’uomo”.