Il capo della Polizia Gabrielli: certa corruzione è come la mafia

Su "mafia capitale" procura avanzata, cambiare reato e 416bis

LUG 23, 2017 -

Roma, 23 lug. (askanews) – “Dobbiamo convincerci tutti che la corruzione è l’incubatrice delle mafie. E invece vedo un atteggiamento da scampato pericolo nei confronti della sentenza sul Mondo di Mezzo, come a dire: la corruzione è una cosa e la mafia è un’altra. E questo, secondo me, è un approccio molto pericoloso”. Pochi mesi dopo la grande retata di Mafia Capitale Franco Gabrielli fu nominato prefetto di Roma, con due grane da sbrigare sulla scrivania: il Giubileo alle porte e la relazione della Commissione d’accesso nominata dal Viminale che doveva valutare il livello di infiltrazione mafiosa in Campidoglio. Oggi Gabrielli è il capo della Polizia e sull’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso contestata ai principali imputati – e caduta in dibattimento – ha un’idea precisa: “Dal mio punto di vista – afferma in un’intervista al Messaggero – l’accusa da cui muove questa inchiesta rappresenta una sorta di interpretazione avanzata del rapporto tra la corruzione e la mafia. Leggeremo le motivazioni della sentenza per vedere se questa interpretazione è troppo avanzata: ma se viene considerata troppo avanzata, a questo punto questa inchiesta interroga il legislatore”.

“Credo che se non ci sono le condizioni affinché un giudice – nella sua legittima autonomia – non aderisca a questa interpretazione avanzata delle procura di Roma, vada cambiato lo schema legale del 416 bis. Se la sentenza non coglie la modernità dell’impostazione dell’accusa e la correlazione tra corruzione e mafia, bisogna rimodellare la formulazione del reato di 416 bis”.

“Siccome mi capita spesso di trovarmi un po’ da solo”, ricorda Gabielli dell’epoca in cui arrivò a Roma, “l’unica persona con la quale ebbi a interloquire e che rappresentò per me un punto di riferimento ineliminabile fu Giuseppe Pignatone, che con la sua capacità di essere prima di tutto un uomo delle istituzioni mi disse che secondo lui non cíerano gli estremi per arrivare allo scioglimento del comune di Roma per mafia. Sottolineo che questo avvenne in un paese in cui troppo spesso gli interessi di bottega prevalgono su interessi generali: in fondo in quel momento ad un povero prefetto che arrivava nella Capitale, un procuratore interessato a conseguire un risultato immediato avrebbe consigliato altro. Perché è ovvio che lo scioglimento per mafia avrebbe costituito un punto di riferimento forte per la procura, una sorta di punto fisso che avrebbe avuto i suoi effetti anche nei successivi sviluppi del dibattimento processuale. E invece, con onestà intellettuale, mi disse che Roma non andava sciolta. Mi piace ricordarlo oggi in un momento in cui qualcuno parla di sconfitta della procura, perché in quell’occasione si è visto lo spessore dell’uomo e del magistrato”.