Il procuratore capo Pignatone: a Roma le mafia esistono

"Non abbiamo esercitato alcun ruolo politico"

LUG 22, 2017 -

Roma, 22 lug. (askanews) – “A Roma le mafie esistono. E lavorano incessantemente nel traffico di stupefacenti, nel riciclaggio di capitali illeciti, nell’usura. Solo lo scorso giugno abbiamo sequestrato beni di provenienza mafiosa per 520 milioni di euro. Sono mafie che incidono pesantemente nella qualità della vita dei cittadini, nella libertà delle loro scelte. Non solo. Roma ha un’emergenza altrettanto grave, se non più grave della mafia. E sono la corruzione e i reati economici. Noi trattiamo bancarotte per centinaia di milioni di euro. Frodi all’erario ed evasioni fiscali per miliardi. E su questo vorrei fosse chiaro a tutti che il mio ufficio non accetta, né intende rassegnarsi all’idea che tutto questo sia normale. Faccia parte del paesaggio. Addirittura ne sia componente necessaria”. Lo afferma in una intervista a Repubblica il Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.

La sentenza del Tribunale “ha riconosciuto che a Roma ha operato una associazione criminale che si è resa responsabile di una pluralità di fatti di violenza, corruzione, intimidazione” e “l’indagine di questo ufficio ha svelato un sistema criminale capace di infiltrare il tessuto amministrativo e politico della città fino al punto di avere a libro paga amministratori della cosa pubblica”, riassume Pignatone. “Questo vedo. E questo dice tre cose. La prima: che abbiamo lavorato bene e che hanno lavorato bene i carabinieri del Ros, che per questo ringrazio. La seconda: che la sentenza apre uno spazio per una riflessione non solo giudiziaria su questa città, che però non spetta a me. La terza: non si è trattato di una fiction”. Ma l’ufficio del Procuratore ha perso il processo sulla questione dirimente, la mafiosità di quel sistema criminale. “Non c’è dubbio. E’ il dato negativo di questa sentenza”.

“Con questa indagine – spiega il magistrato che è stato a Palermo e Reggio Calabria prima di approdare a Roma – intendevamo proporre un ragionamento avanzato sul rapporto tra mafia e corruzione. Per altro, muovendoci nel solco della più recente giurisprudenza di Cassazione sull’articolo 416 bis. Ora, il tribunale ha espresso un parere diverso e dunque aspettiamo le motivazioni per comprendere quale è stato il percorso logico della decisione. Se si tratta di questioni che riguardano l’interpretazione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, o, al contrario, di una diversa lettura e qualificazione del fatto storico che il dibattimento ha provato. Dopodiché, se il tribunale ci convincerà, non faremo appello, altrimenti impugneremo”. Per Pignatone, ad ogni modo, “dire che con le nostre inchieste abbiamo cambiato il corso politico degli eventi a Roma, che abbiamo esposto la città al ludibrio del mondo, significa attribuirci un uso politico della giustizia penale che non abbiamo in alcun modo esercitato”.