Malati cronici: tempi lunghi, attese e burocrazia trita-diritti

Rapporto Cittadinanzattiva: poco tempo per ascolto pazienti

APR 27, 2017 -

Roma, 27 apr. (askanews) – Si attendono anni per una diagnosi, mesi per una visita, un esame di controllo o per ricevere un ausilio, giorni al Pronto Soccorso per un posto letto. Per contro, il tempo dedicato alla visita e quindi all’ascolto è sempre più ridotto, le ore dedicate all’assistenza domiciliare ed alla riabilitazione sono troppo esigue. È la condizione in cui vivono le persone con patologie croniche e rare che emerge dal XV Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità “In cronica attesa”, presentato a Roma dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva.

Le persone con malattie croniche e rare e i loro familiari devono sopperire a molte carenze, utilizzando il proprio tempo e le proprie risorse economiche: fino a 10.000 euro l’anno per l’assistenza psicologica, l’acquisto di farmaci e parafarmaci, la riabilitazione a domicilio; fino a 60.000 euro l’anno per pagare la retta della residenza sanitaria assistita. A questo si aggiunge la burocrazia “trita-diritti” perché non si snelliscono le procedure burocratiche, come nel caso del rilascio di piani terapeutici per i farmaci o di protesi e ausili, l’assegnazione del contrassegno auto per invalidi o il rinnovo della patente. Anzi capita che anche quando la semplificazione c’è, “nella sua applicazione diventi strumento per restringere i diritti, come nel caso dell’invalidità civile e dell’handicap”.

Oltre il 60% delle associazioni che hanno aiutato a redigere il rapporto segnala la carenza di servizi socio-sanitari sul proprio territorio (ad esempio logopedia, riabilitazione, assistenza domiciliare, servizi di trasporto) e le difficoltà di orientarsi fra i servizi, più del 50% evidenzia difficoltà in ambito lavorativo, legate alla propria patologia, disagi nel comunicare la malattia, difficoltà economiche. Nel rapporto con il medico, il 78% riscontra di aver poco tempo a disposizione per l’ascolto, di aver visto sottovalutati i propri sintomi (44%), la poca reperibilità (42%) e la scarsa empatia (26%). E, ancora: la riduzione dei posti letto ospedalieri comporta che, in due casi su cinque, i pazienti debbano ricoverarsi lontano dalla propria residenza o, in più di un caso su tre, accontentarsi di un posto letto in un reparto non idoneo (ad esempio, ragazzi ricoverati in reparti per adulti, pazienti immuno-compromessi in reparti affollati e potenzialmente pericolosi). Una volta ricoverati bisogna, poi, in più di un caso su cinque, fare i conti con pasti non adeguati e mancanza di attenzione del personale medico/infermieristico. Per il 15% delle Associazioni non viene rispettata la dignità della persona a causa della dotazione del reparto.