Chi è l’uomo che Mina Welby sta accompagnando in Svizzera per l’eutanasia

La storia di Davide T.

APR 12, 2017 -

Milano, 12 apr. (askanews) – Davide T., l’uomo malato di sclerosi multipla che Mina Welby sta accompagnando in Svizzera per l’eutanasia, ha deciso di morire perché non vuole più vivere “con il dolore addosso” e perché ritiene che la sua non sia più una vita da vivere ma una condanna da scontare. Lo scrive l’Associazione Luca Coscioni in una nota.

Nel 1993 Davide aveva 27 anni e faceva il barista, a un certo punto ha iniziato a non sentire più un lato del corpo. Erano i primi sintomi della sclerosi multipla. Amava il calcio e la musica, aveva tante idee e la forza di realizzarle. Col passare degli anni la malattia è diventata sempre più insopportabile e crudele. Da mesi non riesce più a far nulla, compreso mangiare e dormire. Passa le giornate a letto o in sedia a rotelle, con uno stimolo costante di andare in bagno. Assume farmaci molto forti contro il dolore, più di quindici al giorno, compreso il metadone che ha importanti effetti collaterali – anche se ormai non sono più efficaci. Solo la cannabis terapeutica, fornita dalla regione Toscana, gli dà sollievo.

Vive con la madre che ha 73 anni e molti problemi di salute, e che lo sostiene nella sua scelta. Parla a fatica, facendo lunghe pause. Sente dolori diversi in tutto il corpo per ventiquattro ore al giorno, senza tregua. Può muoversi sempre meno e qualsiasi movimento, anche il più piccolo gli procura atroci sofferenze.

Non vede davanti a sé nessuna prospettiva, da oltre un anno ormai la sua vita è solo sofferenza.

A fine 2016 ha preso la decisione di ricorrere all’eutanasia, che definisce “una liberazione, un sogno, una vacanza”. La madre lo capisce, soffre ma lo capisce.

Ora è Davide, nome di fantasia, che ha chiesto aiuto a soseutanasia.it perché vuole farla finita prima che “la malattia stronza” gli porti via quel che ancora gli resta della sua vita: a dicembre, in una lunga intervista a Libero, aveva raccontato la sua storia e spiegato che voleva il suicidio assistito prima possibile perché “vivere mi fa troppo male”. Ha 53 anni e ne aveva 27 anni quando si è ammalato, un ragazzone spensierato di un metro e novanta. Faceva il barista e, un giorno, si è accorto che non sentiva più una parte del suo corpo: “Potevano spegnermi una sigaretta addosso, darmi una coltellata, ma ero completamente insensibile”.

Nell’intervista a Libero, Davide spiega alla fine dell’anno scorso ha supplicato la mamma che lo assiste, ormai anziana, a scrivere ad una clinica Svizzera e chiedere un preventivo per il suicidio assistito. Ma la risposta degli svizzeri è arrivata con un conto da pagare: 9500 euro. Una cifra impossibile: lui prende 790 euro di pensione al mese. Così ha chiesto aiuto a soseutanasia.it, il sito di Marco Cappato, Gustavo Fraticelli e Mina Welby. Ha lanciato un appello attraverso Libero. Ha messo tutto insieme ai pochi risparmi della mamma e ha avuto l’appuntamento con la clinica. E ora è partito.

“Ho dolori ventiquattro ore al giorno, qualsiasi movimento, anche il più piccolo, mi procura sofferenze atroci”, aveva detto nell’intervista, raccontando ci come gli amici siano spariti da tanto tempo, della fidanzata che lo ha lasciato un giorno lì, a casa dalla madre, periferia di una cittadina toscana – “da qui non riesco a vedere nemmeno il cielo perché davanti alla finestra ho un palazzone orribile”.

Invece “la fine la immagino, serena, molto dolce. Per me il viaggio sarà una liberazione. La liberazione. Come un sogno, come una vacanza. L’unica cosa che mi fa sorridere, adesso, è il pensiero di questo viaggio. Mi daranno da bere un liquido e io lo berrò”.

Lme/Gtu