Bagnasco critico su biotestamento: escludere eutanasia

Impostazione del disegno di legge "radicalmente individualistica"

MAR 20, 2017 -

Roma, 20 mar. (askanews) – “La legge sul fine vita, di cui è in atto l’iter parlamentare, è lontana da un’impostazione personalistica; è, piuttosto, radicalmente individualistica, adatta a un individuo che si interpreta a prescindere dalle relazioni, padrone assoluto di una vita che non si è dato”. Così il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, aprendo il consiglio episcopale permanente.

“In realtà, la vita è un bene originario: se non fosse indisponibile tutti saremmo esposti all’arbitrio di chi volesse farsene padrone. Questa visione antropologica, oltre ad essere corrispondente all’esperienza, ha ispirato leggi, costituzioni e carte internazionali, ha reso le società più vivibili, giuste e solidali. È acquisito che l’accanimento terapeutico – di cui non si parla nel testo – è una situazione precisa da escludere, ma è evidente che la categoria di ‘terapie proporzionate o sproporzionate’ si presta alla più ampia discrezionalità soggettiva, distinguendo tra intervento terapeutico e sostegno alle funzioni vitali. Si rimane sconcertati anche vedendo il medico ridotto a un funzionario notarile, che prende atto ed esegue, prescindendo dal suo giudizio in scienza e coscienza; così pure, sul versante del paziente, suscita forti perplessità il valore praticamente definitivo delle dichiarazioni, senza tener conto delle età della vita, della situazione, del momento di chi le redige: l’esperienza insegna che questi sono elementi che incidono non poco sul giudizio. La morte non deve essere dilazionata tramite l’accanimento, ma neppure anticipata con l’eutanasia: il malato deve essere accompagnato con le cure, la costante vicinanza e l’amore. Ne è parte integrante la qualità delle relazioni tra paziente, medico e familiari”.

“E’ curioso – ha detto più in generale Bagnasco – come la Chiesa, sotto i regimi totalitari, abbia dovuto affermare a prezzo di persecuzioni e di martiri che ogni persona è unica e irripetibile, nativamente dotata di libertà e di autodeterminazione; che l’uomo non è il prodotto della collettività; che la persona precede la società”. E anche oggi, “nulla della vita individuale è esclusivamente privato: momenti di gioia, di dolore, speranze e delusioni, lavoro, farsi una famiglia e avere dei figli… Nulla riguarda solamente l’individuo, poiché ognuno è un bene prezioso non solo per sé ma per tutti. La fragilità stessa è un dono, poiché interpella l’amore operoso degli altri, mette alla prova la comunità e la fa crescere. Questa visione dell’uomo, che risplende in Gesù Cristo ma che è scritta anche nell’esperienza quotidiana, chiede che ‘gli altri’ – sia i familiari e gli amici e sia la società nel suo complesso – si facciano vicini, ognuno a proprio modo, nei diversi momenti della vita, poiché – come dicevo – ognuno è un bene per tutti e nessuno deve essere e sentirsi solo. Tutto questo ha, certamente, anche dei costi in termini di risorse umane ed economiche, per cui – almeno apparentemente – è meno impegnativo per uno Stato che ognuno sia individuo affidato a se stesso”.