Troppi antibiotici per cure dentali. Esperti: inutili nel 50% casi

Ogni anno 5 mln interventi chirurgia odontoiatrica in Italia

MAR 17, 2017 -

Roma, 17 mar. (askanews) – Estrazioni, interventi sulle gengive e sull’osso di sostegno dei denti, inserimento di impianti, trapianti di tessuti: sono circa 5 milioni gli interventi di chirurgia odontoiatrica eseguiti ogni anno nel nostro Paese. Fra le patologie più diffuse la parodontite che, in forma più o meno grave, colpisce circa il 50% della popolazione. Ma solo 5 milioni di italiani vengono sottoposti a terapie specifiche della malattia, mentre oltre 20 milioni di persone non accedono alle cure. Quattro volte su dieci il paziente esce dal dentista con la prescrizione di una bella dose di antibiotici, che però in oltre il 50% dei casi non sono necessari. Lo sottolineano gli esperti della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SidP) in occasione del XVIII Congresso Internazionale su Parodontologia e Salute Orale, riferendo i risultati di un’indagine internazionale condotta da Key-Stone su 1500 dentisti di 6 Paesi europei fra cui l’Italia.

“Le ‘prescrizioni facili’ – chiarisce il presidente Claudio Gatti – sono pericolose, perché oltre a esporre ai possibili effetti collaterali degli antibiotici, come ad esempio reazioni allergiche, nausea, vomito e diarrea, favoriscono la comparsa di germi resistenti: l’antibiotico dovrebbe essere dato soltanto nei casi più gravi di parodontite aggressiva o estesa a molti denti e sempre in associazione alla rimozione professionale della placca batterica da parte del dentista e/o dell’igienista dentale. Quindi l’antibiotico non deve mai essere usato come unica terapia ad eccezione del trattamento di situazioni acute come l’ascesso dentale, con una durata variabile a seconda del principio attivo ma mai inferiore ai tre giorni”, spiega ancora Gatti. L’indagine, condotta da Key-Stone su un campione di 1500 dentisti di Svezia, Germania, Francia, Regno Unito, Spagna e Italia, dipinge un’Europa divisa in due nell’atteggiamento nei confronti degli antibiotici. Accanto a un Nord Europa in cui si evita più possibile di ricorrere all’antibiotico, con la Svezia in cui le prescrizioni sono al 9%, il Regno Unito al 18% e la Germania al 20%, nei Paesi affacciati sul Mediterraneo le percentuali raddoppiano arrivando al 40% con la Francia e Italia tra le peggiori in Europa. “Queste differenze si spiegano con le linee guida presenti nei vari Paesi, la diversa copertura odontoiatrica da parte del Sistema Sanitario e la cultura e le abitudini di medici e pazienti – commenta Gatti – .In Italia, per esempio, l’attività odontoiatrica è quasi tutta privata mentre in altri Paesi l’odontoiatria pubblica ha un peso più rilevante. Inoltre il sistema di controllo sulla somministrazione degli antibiotici è particolarmente capillare nei paesi nordici, e ciò riduce il rischio dell’uso non appropriato”. Non è così nel nostro Paese, dove l’impiego di antibiotici è esteso e generalizzato ben oltre le reali necessità. “Gli antibiotici hanno senso nelle forme più gravi e comunque soltanto in associazione alla disgregazione della placca batterica con terapia professionale – osserva Mario Aimetti, presidente eletto SIdP e professore di parodontologia presso l’Università di Torino – In caso contrario sono destinati a essere quantomeno inefficaci, per la natura stessa della placca: questa è un biofilm dove sono presenti enormi quantità di batteri, basti pensare che in un millimetro cubo di placca ci sono oltre 100 milioni di microrganismi e in un dente poco pulito si possono trovare anche 10 millimetri cubi di placca, per una popolazione di germi pari a tre volte gli abitanti degli Stati Uniti. In queste comunità batteriche si sviluppano germi patogeni che possono attaccare le gengive, ma questi in genere si trovano in profondità e non vengono raggiunti dall’antibiotico se la placca non viene spezzata. Da qui la conseguente inefficacia dell’antibiotico come unica terapia”.