Saronno, omertà in ospedale: “Protocollo Cazzaniga noto a tutti”

Una commissione interna non prese provvedimenti contro anestesista

DIC 1, 2016 -

Milano, 1 dic. (askanews) – Una commissione interna che non ha preso provvedimenti, voci di corridoio e sospetti che non si sono tradotti in una denuncia alle autorità competenti. Fra le pagine dell’inchiesta che ha portato all’arresto del medico anestesista Leonardo Cazzaniga per l’omicidio di 4 pazienti del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Saronno e dell’infermiera Laura Taroni per l’omicidio del marito, emergono una serie di circostanze per cui, secondo gli inquirenti, appare chiaro che qualcuno nell’Ospedale sapeva e non ha parlato. Circostanze che hanno portato a mettere sotto indagine 14 fra medici e dirigenti della struttura sanitara per ipotesi di reato che vanno dall’omessa denuncia, al favoreggiamento personale, al falso ideologico. Fra gli indagati ci sono il direttore sanitario dell’ospedale e il direttore del reparto operativo del Pronto Soccorso.

Un muro di silenzio rotto dall’infermiera Clelia Leto il 20 giugno 2014, con una querela alla Procura di Busto Arsizio contro Leonardo Cazzaniga che ha dato il via alle indagini portate a termine dai carabinieri del nucleo operativo di Saronno. Nella sua denuncia l’infermiera spiegava che Cazzaniga, definita “persona volgare nell’eloquio ed aggressiva”, “aveva rivolto offese e minacce verbali, non soltanto a lei ma anche a colleghi medici e infermieri”. Riferiva anche di aver assistito personalmente a condotte professionali “allarmanti” dello stesso dottore, riconducibili a quello che lei definiva il “protocollo Cazzaniga”, cioè la deliberata somministrazione di dosi letali di anestetici e sedativi per accelerare la morte di pazienti con gravi patologie arrivati in Pronto Soccorso durante i suoi turni.

Clelia Leto dopo aver assistito personalmente ad alcuni casi ha correttamente avvisato i suoi superiori, una segnalazione che ha trovato anche riscontro inizialmente, con l’istituzione di una commissione apposita per valutare la congruità dell’operato del medico anestesista. La commissione però decide che è tutto regolare e non adotta alcun provvedimento, pur scrivendo nella relazione conclusiva che “la peculiarità dell’approccio terapeutico del dottor Cazzaniga (analgesici oppioidi + benzodiazepine + ipnotici) non trova analogo riscontro nei casi analoghi trattati dagli altri medici del Pronto Soccorso…è indubitabile…che le dosi dei farmaci somministrati nei casi selezionati sembrano superare, in modo evidente, i valori indicati nel prospetto esemplificativo contenuto nelle linee guida della SIAARTI (La società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva ndr)”. Ora tutti i membri della Commissione sono indagati.

A confermare che il famigerato protocollo Cazzaniga non fosse un mistero fra le corsie dell’ospedale ci sono anche le testimonianze di diversi colleghi del dottore. “Sono stata testimone di quello che è noto a tutti come il protocollo Cazzaniga. Tutti in reparto e non solo hanno sentito parlare di questo protocollo”, ha detto una infermiera in servizio al pronto soccorso agli inquirenti, sottolineando di aver sentito personalmente il dottor Cazzaniga dire “Questo è un paziente perfetto da sottoporre al mio protocollo” riferito a persone che poi “puntualmente, morivano poco dopo in Pronto Soccorso”.

L’anestesista, in una sorta di delirio di onnipotenza, quasi annunciava le sue intenzioni omicide. Un medico ha affermato di aver sentito personalmente l’anestesista citare il protocollo “in presenza di pazienti agonizzanti o in stato tumorale terminale” e poi dire ad alta voce di un paziente che si trovava in quelle condizioni “con lui applichiamo il protocollo Cazzaniga”.

Mentre si attendono per domani gli interrogatori di garanzia presso il carcere di Busto Arsizio dei due arrestati, gli inquirenti cercano di fare luce anche sulla posizione di una dottoressa, Simona Sangion, già indagata, come risulta dall’ordinanza, per falso ideologico in atto pubblico. L’ipotesi è che abbia minacciato l’azienda ospedaliera di rivelare quanto avveniva di sospetto all’interno del pronto soccorso qualora non l’avessero assunta. Assunzione che l’azienda ha concesso in cambio del suo silenzio.