Crac gruppo Di Mario, pm chiede processo per 36

Il 'buco' contestato sarebbe intorno a 450 milioni di euro

NOV 21, 2016 -

Roma, 21 nov. (askanews) – Una banca finita nei guai, alcune società fallite e un ‘buco’ da 450 milioni di euro. Sono questi gli ingredienti di una richiesta di rinvio a giudizio sollecitata dalla Procura di Roma nei confronti di 36 persone, tra cui il manager immobiliarista di origine molisana Raffaele Di Mario, e l’ex direttore generale dell’istituto di credito Tercas, Antonio Di Matteo.

Di Mario viene ritenuto responsabile del fallimento di una dozzina di aziende, che facevano parte della sua holding. Gli inquirenti contestano il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e preferenziale, oltre ad alcune fattispecie tributarie. Sotto accusa ci sono anche collaboratori di Di Mario, amministratori di singole società, prestanome. I fallimenti ricordati nell’imputazione attengono le società: Dimafin spa, Dima Costruzioni spa, Diemme Costruzioni spa, Belchi ’86 srl, Dima Rent srl, Cos.Edi srl, Cogest srl, Stone Project srl, Pontente srl, Dima Tour, Superdim srl e Hote Selene spa.

Sulla richiesta della pubblica accusa il pm si pronucerà entro la fine dell’anno. Di Matteo è già sotto processo davanti alla IX sezione penale del tribunale per associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia, appropriazione indebita e riciclaggio.

Secondo la Procura di Roma, dal 2005 al 2011, approfittando della sua posizione di vertice nell’istituto di credito Tercas, Di Matteo avrebbe utilizzato il patrimonio e le potenzialità finanziarie della banca ad esclusivo vantaggio proprio di alcuni imprenditori amici.

E Di Mario, per aver fatto parte di quest’ultimo gruppo, avrebbe ottenuto “ingenti finanziamenti con modalità non rispettose dei protocolli istruttori adottati dalla Banca nei confronti di tutti gli altri clienti e che, all’esito del commissariamento, sono stati qualificati tutti come crediti di difficile recupero (ovvero ‘ad incaglio e/o sofferenza’) per un importo complessivo di 200 milioni di euro”.