‘ndrangheta, Estorsioni nel reggino: 26 fermi dalla Dda

In manette fiancheggiatori superlatitante "Micu u pacciu" Condello

NOV 15, 2016 -

Reggio Calabria, 15 nov. (askanews) – “Un’indagine da manuale. Ancora una volta il clan Condello allunga i suoi tentacoli sul territorio e stringe gli imprenditore nella morsa del pizzo”. È il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, a illustrare i particolari dell’inchiesta “Sansone” che questa mattina ha visto i Carabinieri del ROS e del comando provinciale fermare 26 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, detenzione illegale di munizioni ed armi comuni e da guerra, procurata inosservanza di pena, favoreggiamento personale, ma anche minaccia, danneggiamento e incendio, reati tutti aggravati dall’aver agevolato la ‘ndrangheta.

Il provvedimento è stato emesso dai pm antimafia Annamaria Frustaci e Giuseppe Lombardo. A finire sotto la lente della Dda sono stati presunti boss e affiliati della cosca Condello, egemone nella periferia nord reggina, ma anche quelli della ‘ndrina Zito-Buda-Bertuca attiva a Villa San Giovanni. Smantellata la rete dei fiancheggiatori che hanno permesso al boss Domenico Condello, soprannominato “Micu u pacciu”, di trascorrere una latitanza durata oltre 20 anni. Il suo arresto risale al 10 ottobre del 2012. I Carabinieri lo scovarono in un’abitazione di contrada Rosalì, nell’hinterland a cavallo fra Reggio Calabria e Villa San Giovanni. Non è un caso che il numero due dei Condello abbia trascorso gran parte della sua fuga in quella zona. La sua cosca, insieme ai Buda, da oltre 25 anni “gestisce” quella parte di territorio soprattutto attraverso il racket.

“Abbiamo sentito in diretta, ha continuato il Procuratore, le giovani leve della cosca estorcere denaro e pretendere dalle ditte, perlopiù impiegate nel settore edile, percentuali sugli appalti”. Lavori piccoli, ma anche grandi opere pubbliche e private che in alcuni casi superavano il mezzo milione di euro, le cosche pretendevano che gli imprenditori si piegassero alle loro richieste. “Nessuno ha denunciato – ha affermato il comandante generale del Ros, Giuseppe Governale -, ma noi abbiamo come un martello pneumatico, traforato questo muro di omertà e dato una scossa imponente alla struttura di cemento armato creata dalla ‘ndrangheta. Magistratura e forze dell’ordine hanno colpito con questa operazione la struttura più dura della criminalità organizzata e continueremo a farlo”.

Tutto prende le mosse dall’inchiesta “Meta”, l’operazione della Dda dello Stretto che nel 2010 ha portato all’arresto di oltre cinquanta persone accusate di far parte non solo delle cosche Condello, Buda e Bertuca, ma anche di quelle che rientrerebbero nel “gotha” della mafia calabrese. De Stefano, Imerti, Tegano e anche Zito, Alvaro, Greco, Rugolino e Libri, sono queste le famiglie che dopo aver lasciato su tutta la provincia reggina centinaia di morti ammazzati fino al 1991, ha poi visto gli stessi capicosca sedersi al tavolo della “pace” e dividersi le zone di competenza. Estorsioni e traffico di droga: i due settori “esclusivi” su cui ogni ‘ndrina poteva puntare nella propria porzione di città. Attraverso queste premesse storiche affonda le proprie radici l’indagine “Sansone”. Un controllo capillare del territorio, soprattutto nell’area villese, sarebbe stato esercitato congiuntamente da più cosche.

Una serie di danneggiamenti ai danni delle ditte edili aveva allertato gli inquirenti, ma poi sono state le parole pronunciate, il 23 agosto del 2010, dal boss Pasquale Bertuca a dare la svolta. Il capomafia nel corso di un colloquio in carcere invitava i familiari a riferire ad Alfio Liotta, finito questa mattina in carcere, di “non lasciare scampo a nessuno”. L’indagato è infatti, ritenuto il soggetto incaricato della riscossione dei proventi estorsivi; l’ultimo in ordine cronologico a cui la cosca aveva demandato il compito in seguito agli arresti dei “mammasantissima” Pasquale Condello, alias “il supremo”, del cugino Domenico, e di gran parte di sodali e affiliati. L’Antimafia reggina quindi, avrebbe fatto luce su almeno venti episodi estorsivi. Considerata da sempre il cortile di casa delle ‘ndrine di Archi, Villa San Giovanni era già finita al centro delle attenzioni della Procura quando l’annunciata costruzione del Ponte sullo Stretto e l’avvio dei cantieri per le opere compensative hanno scatenato gli appetiti dei clan. Un’indagine poi sfumata, ma le cui risultanze sono state valorizzate oggi con l’inchiesta “Sansone”, che ha svelato come nessuna attività imprenditoriale sia negli anni sfuggita agli Zito-Bertuca, sotto l’egida dei Condello.