## Caso Regeni, i genitori: è stato torturato, il governo agisca

Manconi chiede il "richiamo" dell'ambasciatore italiano al Cairo

MAR 29, 2016 -

Roma, 29 mar. (askanews) – Giulio Regeni è stato torturato e il suo volto era “piccolo piccolo” sul bancone dell’autopsia: la mamma del giovane ricercatore, ucciso in Egitto, lo ha riconosciuto “solo dalla punta del naso”. La signora Paola lo ha raccontato nel corso di una affollata conferenza stampa in Senato, accanto al presidente della Commissione diritti umani di palazzo Madama Luigi Manconi. “Invitiamo il governo italiano a richiamare l’ambasciatore al Cairo – ha detto il parlamentare – nelle forme consentite e previste. Va avviata una revisione delle relazioni diplomatiche e consolari”. E se non servisse – suggerisce – “c’è la possibile dichiarazione dell’Egitto come paese non sicuro. Sarebbe un chiaro segnale per i flussi turistici”.

Il papà Claudio ha ricordato i successi accademici e scolastici del figlio, gli anni passati all’estero, lo studio negli Usa all’università del Mondo unito in New Mexico, ricordando che quando era partito per il Cairo, l’ultimo giorno che lo ha visto, era “soddisfatto, felice e sereno”. Ma quel periodo è lontano. L’avvocato Alessandra Ballerini non fatica ad affermare con nettezza che Giulio era “un ragazzo pulito” smentendo le voci egiziane riguardo una dose di ‘fumo’ trovata accanto agli effetti personali, mostrati dal ministero dell’Interno egiziano in una foto, dopo il blitz nel covo della gang dei presunti rapitori, “l’ennesimo osceno depistaggio”, come ha ribadito più volte il senatore Manconi.

“Quel vassoio d’argento lo respingiamo – ha sottolineato l’avvocato Alessandra Ballerini, che assiste la famiglia Regeni – abbiamo disconosciuto alcuni elementi che sono stati proposti e siamo in dubbio rispetto ad un portafoglio”. In tutta questa storia l’unica terribile certezza è che Giulio è stato “torturato ed ammazzato, come succedeva nel nazifascismo, come fosse un egiziano, perché in Egitto non è un caso isolato”, ha ricordato la madre. E se “i partigiani torturati sapevano che erano in guerra, lui non era andato in guerra, lui era andato solo a fare ricerca”.

Nessuna operazione segreta. Meno che mai Giulio era una spia. “Avevamo contatti frequente, continui. Anche se lui viveva all’estero da tempo. Era solo un ricercatore, uno studioso”, spiega il padre ai cronisti. Il “bel viso, sorridente, lo sguardo aperto” della foto più famosa gli è stata fatta da alcuni amici egiziani. “C’è anche un piatto di pesce nell’immagine… Perché Giulio amava vivere e non smetto più immaginare le cose che può aver detto al momento in cui è stato preso – spiega la signora Paola – avrà parlato in inglese, tedesco, francese, egiziano, conosceva tutto”.

La commozione nella sala Nassiriya di Palazzo Madama si sente, si respira. “E la cosa che mi fa più male – aggiunge – è immaginare Giulio capire, capire che quella porta per lui non si sarebbe più aperta”. Ora la madre di Giulio non ha neanche le lacrime: “Forse riuscirò a piangere quando saprò cosa è successo a mio figlio”.