Garlasco, i giudici: Chiara Poggi era pericolosa per Stasi

Per questo fu "brutalmente uccisa" dal fidanzato

MAR 16, 2015 -

Milano, 16 mar. (askanews) – Chiara Poggi era diventata “una presenza pericolosa e scomoda” per il suo fidanzato ed è per questo che Alberto Stasi l’ha uccisa “brutalmente”. Ne sono convinti i giudici della Corte d’assise d’appello di Milano che lo evidenziano nelle motivazioni della sentenza di condanna a 16 anni di carcere, emessa il 17 dicembre scorso a carico di Alberto Stasi.Nel provvedimento di 140 pagine i giudici presieduti da Barbara Bellerio spiegano le ragioni giuridiche che giustificano la condanna dell’ex bocconiano che era stato sempre assolto in tutti i precedenti gradi di giudizio. “Alberto Stasi – si legge in un passaggio del dispositivo – ha brutalmente ucciso la fidanzata che evidentemente era diventata una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo ‘perbene'”.Questa volta, però, i giudici non hanno dubbi sulle responsabilità dell’ex bocconiano: “Chiara Poggi – scrivono – è stata uccisa da una persona conosciuta, che lei stessa ha fatto entrare in casa. La vittima non ha reagito, è stata colpita alla testa e il suo corpo gettato giù da una scala”. Elementi, questi, che secondo la Corte d’Assise d’Appello di Milano testimoniano che “l’aggressore conosceva quella casa, come dimostrato anche dal percorso da lui successivamente effettuato all’interno dei locali: entrava in bagno per lavarsi del sangue con cui si era sporcato, si portava poi in cucina dove sostava brevemente (forse per cercare un sacchetto in cui occultare l’arma e altro), quindi usciva”.Va ricercata nel rapporto “pregresso” tra Alberto Stasi e Chiara Poggi quella “motivazione forte” che ha poi scatenato “il raptus omicida” dell’ex bocconiano. Secondo i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano che il 17 dicembre scorso hanno condannato Stasi a 16 anni di carcere per l’omicidio della fidanzata, “anche se il movente dell’omicidio di Garlasco è rimasto sconosciuto, ancora una volta è la scena del crimine ad individuarlo in quel rapporto di ‘intimità scatenante una emotività’ che non può che appartenere ad un soggetto emotivamente legato alla vittima”.“Le modalità dell’aggressione – si legge in un passaggio delle motivazioni della sentenza – inducono ad individuare l’esistenza di un pregresso tra vittima e aggressore, tale da scatenare un comportamento violento da parte di quest’ultimo, evidentemente sorretto da una motivazione forte, che ha provocato in quel momento il raptus omicida portato fino alle estreme conseguenze”.Queste motivazioni “hanno fatto sì che lo stesso si vedesse costretto ad aggredire la vittima e ad eliminarla lanciandola giù dalle scale”.MAZ